Il concetto di storia della filosofia
nella riflessione teorica e metodologica
di Nicola Abbagnano

La prima elaborazione organica del concetto della filosofia da parte di Abbagnano risale a La struttura dell'esistenza (1939) e precisamente all'Appendice dell'opera, intitolata La storicità della filosofia. Infatti, è proprio in questo scritto, che riproduceva la prolusione al Corso di storia della filosofia tenuta a Torino nel novembre del l939, che Abbagnano offriva quella fondazione esistenziale della storia della filosofia che sarebbe divenuta tipica della sua maniera di intendere la storia del pensiero.

Dopo aver dichiarato, contro l'idealismo, che non è la storia della filosofia a costituire il fondamento della storicità della filosofia, ma, al contrario, che è la storicità della filosofia a costituire il fondamento della sua storia e della sua considerazione storiografica (par. I), Abbagnano si proponeva di dimostrare (par. II e sgg.) che la filosofia è per sua natura storica e che tale storicità si basa sulla storicità dell'esistenza umana come tale. Alla base di questo ragionamento stava la tesi della essenziale umanità della filosofia, ovvero del suo rapporto necessario con la struttura dell'esistenza. Tesi che Abbagnano enunciava in modo inequivocabilmente chiaro: «La storicità della filosofia non può ritrovarsi se non nella stretta connessione della filosofia con l'esistenza umana come tale»1. La connessione originaria fra l'esistenza umana e la filosofia, puntualizzava il nostro autore, consiste nel fatto che l'esistenza è costitutivamente il problema di se stessa, cioè la domanda intorno alla natura del proprio essere: «L'uomo in quanto esiste, è il problema del suo esser uomo: realizza la sua umanità nella domanda intorno al suo essere e nella ricerca di questo essere, che gli si presenta problematico. All'uomo non è dato il proprio essere come una determinazione univoca, che egli non possa fare a meno di seguire: non c'è per l'uomo e nell'uomo alcuna forza necessitante. L'uomo deve ricercare il suo essere propriamente umano, deve realizzarlo problematicamente, correndo il rischio di una realizzazione imperfetta o mancata. In ciò è la sua natura: una natura che non lo determina necessariamente. che non gli apre davanti una via sola da percorrere, anzi che non gli apre davanti nessuna via perché ogni via egli deve tracciarsi da se, liberamente. Ora in quanto l'esistenza umana è, per sua natura, indeterminazione e problematicità è, per ciò stesso, problema di se medesima, domanda intorno a se stessa, ricerca del suo vero essere: in una parola, filosofia. La filosofia esprime semplicemente la natura vera, autentica, dell'esistenza umana»2. Lo stesso concetto sarebbe stato ribadito in una delle pagine più belle di Introduzione all'esistenzialismo (1942): «Trattare oggi della natura della filosofia significa ritenere già fermamente stabilito un punto essenziale: la necessita per l'uomo. per ciò che egli è, per ciò che deve essere, del filosofare. Perché, se la filosofia fosse il giardino di Epicuro, dove si potesse vivere in disparte, al di fuori delle vicende e dei colpi duri, noi dovremmo ritenerla, oggi, indegna da noi. Ma essa non è il giardino di Epicuro. Non è l'aristocratica esercitazione di pochi spiriti oziosi, né la stratosferica regione dove si possa trovare rifugio e conforto per i mali e la delusioni della vita. C'è un senso – ed è un senso assai antico – in cui il filosofare si identifica con l'esistenza stessa dell'uomo e in cui (come Platone voleva) non si può essere uomo senza essere filosofo […] E infatti filosofare significa per l'uomo, in primo luogo, affrontare ad occhi aperti il proprio destino e porsi chiaramente i problemi che che risultano dal proprio rapporto con se stesso, con gli altri uomini e col mondo»3.

Del resto, già nella breve Introduzione al Sommario di filosofia per i licei pubblicato da Morano (1937), Abbagnano, in armonia con le posizioni delle sue prime opere, aveva rifiutato la «falsa antitesi tra filosofia e vita» e aveva insistito sulla «concretezza della filosofia»4. La stessa cosa avrebbe fatto nel Compendio di storia della filosofia (1945) edito da Paravia: «non ci sarebbe la filosofia dei filosofi, se l'uomo non fosse condotto a filosofare dalla sua vita stessa di uomo. Non ci sarebbero i problemi tecnici della filosofia (quelli che da secoli i filosofi dibattono nelle loro opere) se non ci fosse il problema umano della filosofia, quello che ogni uomo un giorno o l'altro deve affrontare; il problema di ciò che è o di cio che deve essere, del suo destino nel mondo e tra gli uomini»5.

Tornando alla linea argomentativa de La struttura dell'esistenza, posto che esistenza e filosofia (nel senso platonicamente lato del termine) siano la stessa cosa, la storicità dell'esistenza farà tutt'uno con la storicità della filosofia. E poiché la storicità dell'esistenza, come Abbagnano aveva chiarito nel cap. VII del suo capolavoro. si identifica con l'accettazione totale e appassionata della finitudine temporale, ossia con l'atto di fedeltà dell'uomo a se stesso e alla propria natura problematica – atto che consiste nel fare del proprio passato il proprio avvenire – la storicità della filosofia assumerà «l'aspetto della fedeltà a se stessa, dell'approfondimento di ciò che la filosofia è ed è stata, di un riconnettersi continuo della filosofia con le proprie fonti originarie. di uno scavare nel proprio passato per farne il proprio avvenire»6. ln tal modo, la fondamentale storicità dell'esistenza finiva per trasferirsi integralmente nella fondamentale storicità della filosofia. Infatti, puntualizzava Abbagnano, poiché «filosofare è istoricizzare», la considerazione storiografica non si aggiungerà come un arricchimento superfluo al filosofare autentico, ma si presenterà come intimamente connaturata ad esso7.

Intesa come il riconoscimento che la filosofia fa di se stessa nelle fonti del suo passato, la storiografia filosofica passa attraverso tre tappe. La prima è «il riconoscimento del passato come proprio passato» e coincide con l'aspetto propriamente filologico della storiografia, cioè con lo studio e l'analisi dei testi. La seconda è «il riconoscimento che la filosofia fa di se stessa nel suo proprio passato» e coincide con la storia critica delle dottrine. Infatti, la ricerca e l'analisi delle fonti hanno valore solo se nel passato rivelano la presenza della filosofia. Per cui, l'interpretazione critica, che ha il compito di decidere se una dottrina è veramente filosofia, condiziona e fonda l'interpretazione filologica. La terza tappa è «il riconoscimento del passato come avvenire dello stesso filosofare». Ciò che è stato veramente filosofia, insisteva Abbagnano, deve ancora essere filosofia. Non nel senso di un immobilizzarsi nel passato come tale o di un rifiuto di allontanarsi da esso e dalla sua terra. ma nel senso di scorgere nel passato una domanda autentica che esige un'autentica risposta. «Diceva Galilei che se Aristotele fosse vissuto ai suoi tempi non sarebbe stato aristotelico. E veramente la fedeltà ad Aristotele ed ai grandi maestri del pensiero non si realizza con la ripetizione delle loro dottrine (ripetizione che d'altronde neppure è possibile se non svisandone e sforzandone il senso) ma col riconoscimento del tema e del motivo vitale del loro filosofare»8.

Nell'ultima parte dell'Appendice, Abbagnano, dopo aver insistito sull'identità dell'atteggiamento storiografico con quello teoretico (par. V), accennava al nesso fra storiografia e rapporto coesistenziale, individuando, nell'atteggiamento storiografico, il fondamento dell'intelligenza fra gli uomini nell'unità del loro destino (par. VI). Questo tema veniva ripreso, in maniera più chiara e pregnante, in Introduzione all'esistenzialismo. Pur non soffermandosi esplicitamente sul concetto di storia della filosofia, Abbagnano, nel capitolo intitolato L'esistenza come storia, mostrava infatti come il fondamento ultimo della storicità – e quindi della storiografia – sia la struttura coesistenziale dell'esistenza. Se l'esistenza del singolo bastasse a se stessa e fornisse da sola i modi della sua realizzazione, argomentava il filosofo salernitano, non ci sarebbe ricerca storica, poiché l'individuo intenderebbe e realizzerebbe se stesso rimanendo nei limiti della propria singolarità. Ma poiché l'uomo singolo «non è totalità dell'esistenza» egli ha bisogno della coesistenza proprio per essere tale, cioè per realizzarsi nella autenticità e verità della sua struttura9.

Com'è noto, Abbagnano non aveva molta simpatia per Feuerbach, poiché riteneva che il filosofo tedesco non avesse saputo costruire una coerente filosofia del finito10. Tuttavia se c'è un motivo che egli condivideva con il suo pensiero è il tema del bisogno, da parte dell'uomo, del proprio simile. «Bisogno» di cui il rapporto uomo-donna è la manifestazione più tipica (cfr., a questo proposito, l'analisi esistenzialistica dell'amore contenuta nel V capitolo de La struttura dell'esistenza e nella omonima voce del Dizionario di filosofia). Infatti, come Abbagnano aveva già dichiarato in L'esistenza come problema, «l'uomo ha bisogno dell'uomo. non come delle cose del mondo, che sono i mezzi e gli strumenti della sua realizzazione, ma quanto alla sua stessa esistenza la quale intrinsecamente si costituisce nel rapporto con se medesima; cioè dell'uomo con l'altro uomo, dell'io col tu»11. Ma se esistere è coesistere, ne segue che l'uomo può filosofare solo a patto di confilosofare, ossia solo a patto di dialogare con gli altri e di ascoltare le loro voci, a cominciare da quelle che gli provengono dal passato: «L'uomo si costituisce ad unità solo attraverso la ricerca storica; solo interrogando gli altri e ascoltando la loro risposta. La ricerca storica non è abdicazione di sé, ma affermazione di sé. È il riconoscimento effettivo di quella connessione coesistenziale nella quale l'uomo è situato inevitabilmente dall'insufficienza del suo esistere»12. A questo punto, la fondazione esistenziale della storia della filosofia fornita da Abbagnano si palesava esplicitamente, in antitesi ad ogni forma di intimismo spiritualistico, come una fondazione di tipo coesistenziale.

Questo patrimonio teorico costituiva anche il nucleo ispiratore della Prefazione alla prima edizione della Storia della filosofia della Utet (1946-50), la quale muoveva dal concetto della «essenziale umanità dei filosofi»13. Perdura ancora oggi il pregiudizio, esordiva Abbagnano, che la filosofia si affatichi intorno a problemi che non hanno il minimo rapporto con l'esistenza umana e rimanga chiusa in una sfera lontana e inaccessibile, dove non giungono le aspirazioni e i bisogni degli uomini. Oppure che la storia della filosofia sia il panorama sconcertante di opinioni che si accavallano e si contrappongono fra di loro, senza un filo conduttore che serva di orientamento per i problemi della vita. Questi pregiudizi, proseguiva Abbagnano, sono indubbiamente rafforzati da quegli indirizzi filosofici che, per amore di un malinteso tecnicismo, hanno preteso di ridurre la filosofia ad una disciplina particolare accessibile a pochi, misconoscendone, in tal modo, il valore universalmente umano. Tuttavia. protestava il nostro autore, essi risultano palesemente ingiusti, in quanto fondati su false apparenze e sulla ignoranza di cio che condannano. Al contrario, egli proponeva di far valere il principio secondo cui nulla di ciò che è umano è estraneo alla filosofia e che anzi è l'uomo stesso che si fa problema a se stesso e cerca le ragioni e il fondamento dell'essere che gli è proprio: «L'essenziale connessione tra la filosofia e l'uomo è la prima base dell'indagine storiografica istituita in questo libro. Su tale base, questa indagine prende a considerare la ricerca che da 26 secoli gli uomini dell'occidente conducono intorno al proprio essere e al proprio destino. Attraverso lotte e conquiste, dispersioni e ritorni, questa ricerca ha accumulato un tesoro di esperienze vitali, che occorre riscoprire e far rivivere al di là della veste dottrinale, che molto spesso le cela anziché rivelarle»14.

La storia della filosofia, precisava Abbagnano, è profondamente diversa da quella della scienza, poiché mentre in quest'ultima le dottrine passate cessano di avere un significato vitale e quelle ancora valide fanno ormai parte del suo corpo vivente, in filosofia la considerazione storica è invece fondamentale, poiché «una filosofia del passato, se è stata veramente filosofia, non è un errore abbandonato o morto, ma una fonte perenne di insegnamento e di vita»15. Infatti, in ogni filosofia degna di questo nome si è espressa la persona storica del filosofo, non solo nella singolarità della sua esperienza di pensiero e di vita, ma anche nei suoi rapporti con gli altri e con il mondo. Ed è proprio alla personalità concreta del filosofo – intesa come eco di tutti i rapporti con la vita del tempo dei quali quella personalità risulta intessuta16 – che dobbiamo rivolgerci per riscoprire il senso vitale di ogni dottrina, la quale può essere compresa soltanto fissando il centro intorno a cui gravitarono gli interessi umani e intellettuali di coloro che l'hanno elaborata. Di conseguenza, la storia della filosofia non è né il dominio di dottrine impersonali che si susseguano disordinatamente o si concatenino dialetticamente, né la sfera d'azione di problemi eterni, di cui le singole dottrine siano manifestazioni contingenti. Essa è piuttosto «un tessuto di rapporti umani», che si muovono sul piano di una comune disciplina di ricerca e che rivelano la solidarietà fondamentale degli sforzi miranti a chiarire, per quanto è possibile, la condizione e il destino dell'uomo. Solidarietà che non si esprime solo nell'affinità delle dottrine, ma anche nella loro opposizione polemica17.

Come si può notare, anche in questa Prefazione il concetto dell'umanità del filosofare si connetteva strettamente al motivo della necessità vitale della storiografia filosofica. Infatti, ribadiva ancora una volta il nostro autore, sottintendendo la sua teoria della struttura coesistenziale dell'esistenza, ogni vero filosofo si configura come «un maestro o compagno di ricerca», la cui voce, pur giungendoci affievolita attraverso la nebbia dei secoli obliosi, può ancora avere per noi, per i problemi che ora ci occupano, un'importanza decisiva. Anzi, noi «non possiamo raggiungere, senza l'aiuto che ci viene dai filosofi del passato, la soluzione dei problemi dai quali dipende la nostra esistenza singola ed associata»18. E proprio perché il problema di ciò che noi siamo e dobbiamo essere è fondamentalmente identico col problema di ciò che furono e vollero essere, nella loro sostanza umana, i filosofi del passato, la separazione dei due problemi toglierebbe al filosofare il suo nutrimento e alla storia della filosofia la sua importanza vitale. Al contrario, l'unità dei due problemi garantisce l'efficacia e la forza del filosofare e fonda il valore della storiografia filosofia. Ovviamente, precisava Abbagnano, chi si attende dalla ricerca storica un aiuto effettivo, chi vede nei filosofi del passato maestri e compagni di ricerca, non ha alcun interesse a travisarne le dottrine e a metterne in ombra aspetti essenziali. Ha invece tutto l'interesse a riconoscerne il volto vero, cosi come chi intraprende un difficile viaggio ha interesse a conoscere la vera natura di chi gli serve da guida. Per cui, «la preoccupazione dell'oggettività, la cautela critica, la ricerca paziente dei testi, l'aderenza alle intenzioni espresse dai filosofi, non sono nella storiografia filosofica altrettanti sintomi di rinuncia all'interesse teoretico, ma le prove più sicure della serietà dell'impegno teoretico»19.

Poiché in filosofia, proseguiva Abbagnano, non vi sono verità oggettive e impersonali che possano sommarsi e integrarsi in un corpo unico, ma persone dialoganti intorno al loro destino e poiché le dottrine non sono che espressioni di questo dialogare ininterrotto tramite domande e risposte che si richiamano attraverso i secoli, risulta chiaro che non ci si dovrà aspettare di rinvenire nella storia della filosofia un continuo progresso o la formazione graduale di un unico corpo di verità. In quanto teatro del libero dialogare dei filosofi la storia della filosofia non è neppure una successione disordinata di dottrine che si accavallano e distruggono a vicenda. Infatti, i problemi su cui si affaticano i filosofi hanno una loro logica e sono connessi alla personalità del filosofo, la quale risulta collegata, in un rapporto di libera interdipendenza, con quella di tutti gli altri, come mostra ad esempio il caso di Kant e di Hume. E sebbene non ci sia dottrina filosofica che non sia stata criticata, negata e distrutta dalla critica, non si può fare a meno di riconoscere che l'obliterazione definitiva anche di uno solo dei grandi filosofi antichi e moderni sarebbe un impoverimento irrimediabile per tutti gli uomini. Fermo restando che «il valore di una filosofia non si misura alla stregua del quantum di verità oggettiva che essa contiene, ma solo alla stregua della sua capacità di servire come punto di riferimento (magari soltanto polemico) per ogni tentativo di intendere se stessi e il mondo»20.

Se tutto ciò esclude che nella storia della filosofia si possa scorgere soltanto disordine o sovrapposizione di opinioni, esclude pure che in essa si possa scorgere un ordine necessario dialetticamente concatenato, in virtù del quale la successione cronologica delle dottrine equivalga allo sviluppo razionale di una verità unica destinata a venire alla luce alla fine del processo: «La concezione hegeliana fa della storia della filosofia il processo infallibile di formazione di una determinata filosofia. E cosi toglie la libertà della ricerca filosofica, che è condizionata dalla realtà storica della persona che cerca; nega la problematicità della storia stessa e ne fa un ciclo concluso, senza avvenire»21. In realtà, concludeva Abbagnano, la storia della filosofia è storia nel tempo e quindi costitutivamente problematica. Essa è fatta non da dottrine o momenti ideali, ma di uomini solidalmente legati dalla comune ricerca. Ogni dottrina successiva nel tempo non è, per ciò stesso. più vera di quella precedente. Anzi, vi è il rischio che insegnamenti vitali vadano perduti od obliati. Da ciò il dovere di ricercare e preservare incessantemente il loro significato genuino.

Questo senso della problematicità della storia e della storiografia veniva accentuato negli scritti immediatamente successivi. Ad es. in Filosofia religione scienza (1947), pur non occupandosi specificamente della storia della filosofia, nel capitolo intitolato Esistenza e ragione problematica, Abbagnano ricordava che la ricerca storica muove, in ogni caso, dal tempo. Infatti, se quest'ultimo coincide, per definizione, con la possibilità della perdita e della morte, la ricerca storica coincide a sua volta con lo sforzo di garantire, per il futuro, la verità del passato, ossia con il tentativo di sottrarre all'opera annientatrice del tempo il valore di ciò che è stato: «Senza il tempo non ci sarebbe ricerca storica; e non ci sarebbe ricerca storica se il tempo si riducesse alla contemporaneità assoluta di una visione unica e totale. Le fonti storiche sono possibilità di rievocazione che però possono andare perdute se la ricerca storica non interviene a utilizzarle e a farle valere come tali. Ma esse non debbono andare perdute: la possibilità della rievocazione implica un obbligo, che è un impegno per il futuro»22.

In Esistenzialismo positivo (1948), parlando della storicità dell'esistenzialismo, Abbagnano tornava ad insistere, con una prosa lucida e appassionata, sull'importanza vitale della storia della filosofia e sul nesso fra chiarificazione esistenziale e chiarificazione storiografica: «Storicamente, l'esistenzialismo è sulla linea delle grandi metafisiche dell'Occidente, da Platone a S. Tommaso, da Cartesio e Vico a Kant. Ma queste grandi figure, e tutte le altre che in qualsiasi modo hanno detto una loro parola nella storia, l'esistenzialismo non le considera imbalsamate e chiuse nei loro sistemi, ma come personalità vive e potenti che hanno offerto per secoli agli uomini un modo di intendersi e di ritrovarsi e che ancora possono e potranno dare, alle urgenti e vitali domande degli uomini, risposte chiarificatrici. Egualmente lontano dal dogmatismo e dallo scetticismo, l'esistenzialismo ritorna ad interrogare i maestri del passato e ne vaglia, rispettoso e fermo, le risposte. La parola di cui l'uomo è vissuto ieri sarà forse ancora quella di cui vivrà domani. Ma occorre ritrovarla e farla risuonare chiaramente, perché la si possa ascoltare. Il compito di chiarificazione esistenziale è strettamente connesso a un compito di ricerca e di chiarificazione storiografica. L'uno e l'altro richiedono impegno, lavoro, fedelta e tenacia»23. Inoltre, nelle ultime pagine dello scritto, dopo aver ricordato che «la temporalità del tempo non è che l'instabilità fondamentale della possibilità esistenziale»24 e che la storiografia non è un colpo d'occhio divino gettato sul mondo, ma un problema e un dovere, ribadiva che la ricerca storica si configura come «una lotta per sottrarre al potere distruttivo e nullificante del tempo ciò che è valido e degno di conservazione o di ricordo»25.

Nel giugno del l954, su invito della sezione romana della Società Filosofica Italiana, che aveva promosso una serie di incontri sul tema Verità e storia, Abbagnano teneva una conferenza che avrebbe pubblicato qualche mese dopo sulla «Rivista di filosofia» del l995 con il titolo Il lavoro storiografico in filosofia. In tale scritto, successivamente inserito in Possibilità e libertà (l956), egli forniva una delucidazione del lavoro storiografico che risentiva della «trasfigurazione» dell'esistenzialismo in una forma di «empirismo metodologico» e dell'incipiente atmosfera del neoilluminismo italiano26. Rifiutandosi di stabilire «che cos'è in generale la storia della filosofia» e prefiggendosi unicamente di chiarire le condizioni, i limiti e le regole di quel particolare tipo di lavoro che è ritenuto proprio degli storici della filosofia, Abbagnano identificava preliminarmente la storia della filosofia con un certo «campo di ricerche specifiche», intendendo, con la parola campo, «il limite della specificità di tali ricerche»27. Inoltre, sforzandosi di evitare l'inconveniente di qualificare tale campo con i termini di una determinata filosofia («giacché in questo caso le filosofie troppo difformi da questa cadrebbero fuori dei limiti del campo») proponeva di identificare l'area delle ricerche storico-filosofiche con quella delle «interpretazioni di esperienze umane»28. E per mostrare come tale concetto non restringesse arbitrariamente il campo in questione, ossia come esso non limitasse pregiudizialmente la nozione di filosofia, forniva una serie di «avvertenze».

In primo luogo, chiariva Abbagnano, per esperienza si deve intendere «qualsiasi ricerca relativa ai modi d'essere dell'uomo, delle cose, del mondo, di Dio o dell'essere in generale»29. E poiché non si presuppone che tale esperienza sia una totalità, un mondo, che sia semplice ed omogenea o che possegga una qualche forma di unità, è meglio parlare di «esperienze» al plurale. Inoltre, poiché le esperienze sono disparate e non è possibile ritenere che una qualche filosofia tenga conto di tutte le esperienze possibili, si deve dire che una filosofia è in primo luogo la scelta di un gruppo di esperienze che essa in qualche modo privilegia: «Cosi per es. si può dire che Platone tenne d'occhio soprattutto l'esperienza politica. Aristotele specialmente quella naturale; Kant privilegiò l'esperienza naturale e quella morale. Hegel quella religiosa e quella politica e così via»30. Il fatto che le esperienze di cui si occupa la storiografia filosofica vengano classificate come umane serve poi a delimitare, in esse, quel tanto che non è patrimonio esclusivo di specialisti, ma che può interessare qualsiasi uomo. Infine, con il termine interpretazione si intende un giudizio generalizzato o generalizzabile che assume il più delle volte la forma di uno o più «principi» fondamentali che dominano una certa filosofia. Tali sono i principii: «Solo l'essere è, il non essere non è» (Parmenide); «È impossibile che la stessa cosa sia e non sia» (Aristotele); «Tutto ciò che è razionale è reale e tutto cio che è reale e razionale» (Hegel); «Il linguaggio è l'immagine logica della realtà» (Wittgenstein).

Ovviamente, ammoniva Abbagnano, lo storico della filosofia, pur potendo essere personalmente persuaso della validità di uno di tali principii (ad es. di quello aristotelico o di quello hegeliano) non può fare a meno di riconoscere che nella storia del pensiero ha agito una pluralità di principii.

Infatti, solo un riconoscimento di questo genere rende possibile la storia della filosofia. Tuttavia, lamentava il nostro autore, è un fatto che non tutte le filosofie, o per meglio dire non tutte le maniere di filosofare, lasciano uguale apertura alla ricerca storiografica e che alcune di esse tendono a diminuire o a distruggere l'autonomia di questa ricerca, inserendola nel proprio organismo sistematico e prescrivendole in modo unilaterale compiti specifici. Eppure, osservava Abbagnano, l'autonomia almeno parziale e relativa della ricerca storiografica è un punto di interesse comune di tutte le filosofie, giacché solo in virtù di essa si può riuscire ad accertare quei particolari eventi che sono le interpretazioni delle esperienze umane31.

Chiarita la nozione di storia della filosofia, in modo tale da garantire allo storico un'auspicabile «scioltezza di movimento» e «un certo numero di dimensioni di libertà», Abbagnano passava a determinare più da vicino le condizioni peculiari del lavoro storiografico. La prima condizione è la disponibilità del materiale documentario (testi, biografie, notizie ecc.) e l'uso il più completo possibile di esse. Tale condizione si identifica con la storia archeologica di cui parlava Nietzsche, con la precisazione che, in questo caso, non si tratta di un tipo di storia, ma di un requisito indispensabile di ogni storia. La seconda condizione è l'atteggiamento critico ovvero il riconoscimento, discendente dalla scoperta della prospettiva storica dell'alterità «tra il presente e il passato, tra i vivi e i morti». Riconoscimento che comporta la possibilità dell'individuazione storiografica (ossia la consapevolezza dell'individualità irriducibile delle persone e dei periodi) e il rilievo della cronologia (cioè la consapevolezza che la messa a fuoco dell'individualità di un evento esige la sua collocazione nel tempo). La terza condizione è un canone della scelte storiografiche. È certo, osservava Abbagnano, che queste scelte sono suggerite, in larga misura, dall'interesse del ricercatore. Tale fatto non è per nulla «scandaloso». Tuttavia, esso risulta «legittimo» solo finché non conduce a «falsare» la storia. Ora, il solo modo per evitare che questo avvenga e di attenersi a talune regole di fondo. Regole che sono: a) il rispetto del materiale archeologico; b) il rispetto del dizionario e della sintassi linguistica della filosofia che è l'oggetto dell'indagine storica. Infatti, la filosofia non presenta, al pari della scienza, un linguaggio unificato. Per cui, pur essendo impegnato a cercare tra i vari linguaggi filosofici uniformità, somiglianze e ricorrenze di significato, lo storico non può non tener conto, nelle sue ricostruzioni, della disparità dei linguaggi stessi e non seguirli nella loro peculiare terminologia: «È difficile per es. che una filosofia come quella di Hegel possa essere integralmente tradotta in un linguaggio diverso da quello hegeliano e che pertanto si possano ricostruire i capisaldi di essa prescindendo completamente dai peculiari atteggiamenti del linguaggio hegeliano»32; c) la limitazione dell'interesse, quale che sia, alla proposta dei problemi e non delle soluzioni, poiché, in caso contrario, la trattazione dello storico si conclude con un quod erat demonstrandum che rappresenta una remora o un impaccio alla ricerca.

L'insieme di queste regole coincide con il canone dell'obiettività storiografica. Quest'ultimo non comporta affatto un'assenza di convincimenti (oggi diremmo: pregiudizi) iniziali. Essa si identifica piuttosto con la disponibilità a mettere in discussione tali presupposti: «Ciò che comunemente si chiama l'onestà scientifica del ricercatore è in questo campo misurata, sul terreno oggettivo dei risultati, dal grado di problematizzazione che egli ha saputo conferire ai proprii convincimenti iniziali…»33. In altri termini, come Abbagnano aveva già chiarito in Filosofia religione scienza: «l'oggettività storiografica implica, non l'assenza di princìpi direttivi, ma la problematizzazione di tali princìpi nell'impostazione del problema storico»34.

La quarta condizione dell'attività storiografica è un canone dei rapporti storici. Con la parola «rapporto», spiegava Abbagnano, si deve intendere non solo ogni e qualsiasi relazione funzionale, ma anche ogni possibilità di confronto polemico, di raffronto, di chiarimento reciproco, offerta del materiale archeologico disponibile. Ora, un rapporto storico non è mai di uno solo tipo o forma. Infatti, anche se un rapporto di uno stesso tipo o forma fosse riscontrabile fra tutti gli eventi storici considerati, esso non escluderebbe rapporti accertabili di altri tipi o forme. Per cui, la tesi dell'unità della storia della filosofia è cosa che non ha la minima importanza per il lavoro storiografico: «Non si può infatti escludere che si possa riscontrare, fra alcune filosofie, una certa unità cioè una certa uniformità fondamentale di indirizzo o di vedute; ma questa unità, a sua volta, non esclude che si possano riscontrare fra le stesse filosofie altri rapporti che non sono di unità…»35. Anche la tesi della diversità irriducibile delle filosofie è irrilevante per il lavoro storiografico, poiché. sia che la si asserisca sia che non la si asserisca, il lavoro storiografico risulta programmaticamente impegnato alla ricerca di rapporti e quindi non può venir bloccato dalla tesi in questione. In breve, il canone dei rapporti storici deve «limitarsi ad assumere la possibilità di tali rapporti, rifiutandosi di prescrivere in anticipo le forme e i modi che essi possono assumere»36. Ad esempio, da questo punto di vista, il limite del materialismo storico di Marx – come è detto in Determinismo e indeterminismo sociale del l95337 e come viene ribadito nel Dizionario – è quello di aver sostenuto che i fattori economici hanno necessariamente un peso preponderante nella determinazione degli eventi storici, dimenticando che «lo storico si trova, in una data situazione, a dover determinare il peso relativo dei fattori determinanti; e si tratta di stabilirlo di volta in volta, di fronte alle situazioni particolari, senza che esso possa essere deciso in anticipo e una volta per tutte»38.

Lo storico della filosofia, proseguiva Abbagnano nell'articolo del '55, può essere interessato a cercare forme generalizzate di rapporti. Ma proprio tali generalizzazioni sono inutili per il suo lavoro concreto «il quale si trova di fronte al problema di individuare i rapporti stessi, non di confonderli»39. Altrettanto inoperanti sono le tesi simmetriche della necessaria concludenza o della necessaria inconcludenza della storia della filosofia. Certo, lo storico può indubbiamente giungere a mettere a fuoco il significato di un certo periodo o di un certo indirizzo filosofico, presentandolo come la conclusione che l'indagine filosofica ha raggiunto in una determinata epoca. Ma tale conclusione sarà, o potrà essere, a sua volta, il punto di partenza di un'ulteriore indagine, e quindi non potrà valere come la conclusione dell'intera storia della filosofia. Per cui, terminava Abbagnano, «È forse compito più dei filosofi che degli storici della filosofia, condurre il lavoro filosofico precedente, che essi utilizzano, ad una qualche conclusione. Ma non è certo compito né dei filosofi né degli storici immobilizzare questo lavoro su una conclusione assunta come definitiva»40.

Il lavoro storiografico in filosofia si configura come la più significativa e matura trattazione di Abbagnano intorno a tale argomento. L'ultimo scritto in cui egli si è soffermato con una certa ampiezza sulla storia della filosofia, sia pure nei limiti di una trattazione destinata alla scuola, è l'Introduzione premessa alla 2° edizione (1960) dello «Abbagnano piccolo», pubblicato da Paravia con il titolo Linee di storia della filosofia. Dopo aver dichiarato, nel par. 3, che la storia della filosofia ci mostra «i risultati cui i filosofi sono giunti riflettendo su uno o più campi dell'esperienza umana» descrivendoci «i loro tentativi di comprendere l'uomo in generale, il mondo in cui vive, gli ideali e i valori per cui si è battuto e si batte, le vie che si sono aperte o chiuse davanti ai suoi sforzi; e infine gli atteggiamenti che può assumere di fronte a quelli che sono i suoi limiti e i suoi problemi fondamentali: la vita e la morte, il bene e il male, la felicità o l'infelicità, la pace o la guerra»41, e dopo aver assimilato la storia del pensiero ad «un grande serbatoio di pensieri che possono ancora essere pensati, di esperienze che possono ancora essere vissute»42, Abbagnano passava a discutere il problema dei rapporti tra la filosofia e l'ambiente circostante.

Premesso e concesso che «ogni filosofia è condizionata dall'ambiente sociale in cui essa nasce» e che il filosofo, come ogni altro uomo, «vive nel suo, tempo e partecipa, sia pure attraverso la mediazione di concetti astratti, ai bisogni, alle aspirazioni e ai conflitti che lo caratterizzano»43, egli puntualizzava tuttavia che i filosofi, come mostrano i casi della patristica e della scolastica, possono trarre ispirazione da settori che non presentano una stretta attinenza con l'ambiente sociale e politico in cui sono vissuti: «Non si può quindi considerare una filosofia come la semplice espressione del suo tempo: cioè come una manifestazione di tendenze storiche determinate. il prodotto inevitabile o addirittura il sottoprodotto, di determinate circostanze ambientali. Se così fosse, in un determinato periodo, nell'ambito di una determinata cultura, non ci potrebbe essere che una sola filosofia. Ma così non è di fatto. Platone e Democrito sono vissuti nello stesso ambiente e nello stesso periodo di tempo; Platone è il filosofo delle idee, Democrito il materialista»44. Tant'è vero, aggiungeva il nostro autore, che anche nel mondo contemporaneo coesistono dottrine filosofiche disparate, alcune delle quali si ispirano alla scienza, altre alla religione, altre a dottrine sociali, altre all'arte. Per cui, respingendo ogni forma di determinismo storico, sia di tipo materialistico che idealistico, Abbagnano affermava che «una filosofia può essere considerata come una reazione meditata o razionale agli stimoli che provengono dai campi più disparati dell'attività umana», ovvero come «una risposta alle sfide che il mondo pone agli uomini in un certo periodo della loro storia»45.

Infine, nel par. 4. egli contrapponeva due tipi fondamentali di storia della filosofia: quella universale (o dogmatica) e quella critica. La prima risulta esemplificata dalla storia della filosofia di Hegel e si fonda sui presupposti seguenti: 1) esiste una Verità filosofica unica e assoluta che, attraverso l'opera dello storico, si rivela o manifesta se stessa, riconoscendosi più o meno chiaramente espressa in tutte le dottrine filosofiche; 2) esiste un Progresso necessario allo sviluppo del pensiero filosofico che subordina a sé o utilizza nel modo migliore anche il disordine o le aberrazioni apparenti delle particolari filosofie; 3) ogni filosofia particolare costituisce un momento dello sviluppo attraverso il quale la filosofia giunge alla sua compiutezza46. Contestando tali presupposti – che impongono a chi li accetta una selezione severa del materiale storiografico e una interpretazione pregiudicata di esso – la storia critica riconosce invece la diversità e, in certi casi, l'eterogeneità delle dottrine filosofiche. Inoltre, nega che lo storico, per svolgere il suo lavoro, debba già ritenersi in possesso della verità ultima e tende a mettere in luce le linee di sviluppo sempre aperte che una qualsiasi filosofia lascia alla ricerca filosofica ulteriore. Una storia che si ispira a questi principii si proporrà quindi: 1) di mostrare la trama dei pensieri o la struttura concettuale che costituisce l'ossatura di una filosofia determinata; 2) di esibire le relazioni di accordo o di disaccordo che intercorrono tra filosofie diverse appartenenti allo stesso periodo o a periodi diversi; 3) di individuare il campo dell'attività umana al quale un determinato filosofo ha più direttamente rivolto la sua attenzione e dal quale pertanto la sua filosofia ha desunto i problemi che ha messo in primo piano47. Una storia della filosofia così intesa, concludeva il nostro autore, è continuamente soggetta a correzioni o revisioni, anche radicali, che possono essere dovute o alla scoperta di nuovi documenti o a nuove interpretazioni o ad una nuova valutazione dell'importanza di una determinata filosofia per i problemi attuali.

Dalla fondazione esistenziale della storia della filosofia alla proposta di una storia critica della filosofia concepita secondo i canoni di un empirismo metodologico neoilluministicamente e pluralisticamente orientato. Ecco, in sintesi, le tappe di fondo dell'itinerario percorso da Abbagnano in questo settore decisivo della sua riflessione.

Note

1 La struttura dell'esistenza, Paravia, Torino 1939, p. 189.

2 Ivi, p. 190.

3 Introduzione all'esistenzialismo, 1942; ora in Scritti esistenzialistici, a cura di B. Maiorca, Utet, Torino 1988, pp. 237-238.

4 Sommario di filosofia per i licei, Morano, Napoli 1937, pp. III-IV.

5 Compendio di storia della filosofia, vol. I, Paravia, Torino 1945, pp. IV-V.

6 La struttura dell'esistenza, cit., pp. 193-194.

7 Ivi, p. 195.

8 Ivi, p. 197.

9 Introduzione all'esistenzialismo, cit., pp. 334-335.

10 Storia della filosofia, Utet, Torino 1946-50; 2° ed. 1963, vol. III: «La filosofia di Feuerbach è il tentativo di capovolgere la teologia di Hegel in un'antropologia fondata sullo stesso principio, l'unità dell'infinito e del finito. Ma questo principio non si presta a fondare un'antropologia autentica, che non può essere che la ricerca del fondamento e della struttura del finito come tale. Perciò l'opera di Feuerbach, pur avendo prospettato con forza e vivacità polemica l'esigenza di una dottrina dell'uomo, non può dirsi che abbia contribuito in larga misura alla costruzione di questa dottrina» (p. 177).

11 Introduzione all'esistenzialismo, cit., p. 296.

12 Ivi, p. 335.

13 Storia della filosofia, cit., p. XVII.

14 Ibid.

15 Ibid.

16 Compendio di storia della filosofia, cit., p. VII.

17 Storia della filosofia, cit., p. XVIII.

18 Ibid.

19 Ivi, p. XIX.

20 Ivi, p. XX.

21 Ibid.

22 Filosofia religione scienza, 1947; ora in Scritti esistenzialistici, cit., pp. 391-92.

23 Esistenzialismo positivo, 1948, ora in Scritti esistenzialistici, cit., p. 510.

24 Ivi, p. 531.

25 Ivi, p. 532.

26 Cfr. Il neoilluminismo italiano. Cronache di filosofia (1953-1962), a cura di M. Pasini e D. Rolando, Il Saggiatore, Milano 1991.

27 Possibilità e libertà, Taylor, Torino 1956, p. 159.

28 Ivi, p. 160.

29 Ibid.

30 Ivi, p 161.

31 Ivi, p. 163.

32 Ivi, p. 170.

33 Ibid.

34 Filosofia religione scienza, cit., p. 391.

35 Possibilità e libertà, cit., p. 172.

36 Ivi, p. 173.

37 Determinismo e indeterminismo sociale, 1953; poi in Problemi di sociologia, Taylor, Torino 1959, 2° ed. 1967, pp. 112-125.

38 Dizionario di filosofia, Utet, Torino 1961, voce «Materialismo storico», p. 553.

39 Possibilità e libertà, cit., p. 174.

40 Ibid.

41 Linee di storia della filosofia, Paravia, Torino 1960, p. 5.

42 Ibid.

43 Ibid.

44 Ivi, p. 6.

45 Ibid.

46 Ivi, p. 7.

47 Ivi, p. 8.