«Notizie di Politeia»
23(2007), n. 88

Della sterilità dei dogmatismi,
ovvero Bioetica cattolica e bioetica laica

di Roberto Mordacci

Il bel libro di Giovanni Fornero Bioetica cattolica e bioetica laica1 ha il merito di offrire un ritratto realistico della discussione bioetica in Italia. Occorre infatti riconoscere che l'opposizione radicale di due etiche inconciliabili ed estreme è l'aspetto più evidente della bioetica italiana. È pur vero che, nei dettagli, il panorama è più vario di quanto l'angusta dicotomia laici-cattolici lasci apparire: in entrambi i campi vi sono posizioni anche marcatamente differenti, sia sotto il profilo teorico, sia per le tesi sui temi applicati. Vi sono intellettuali laici che non sottoscrivono affatto tutti gli articoli di fede dell'etica della qualità della vita e intellettuali cattolici (pochi) che hanno il coraggio della dissidenza motivata, del non allineamento alle tesi bioetiche del Magistero. Tuttavia, lo spazio della discussione pubblica è effettivamente dominato (con qualche lieve variazione recente, per fortuna) dal riproporsi continuo e ormai stucchevole dello scontro fra visioni incompatibili che si limitano a riaffermare le proprie posizioni, senza nemmeno più preoccuparsi di analizzare criticamente le tesi degli avversari (questo è vero soprattutto della parte cattolica): ciò che conta è alzare la propria bandiera ideologica e dichiarare la propria adesione all'una o all'altra fazione.

Questa contrapposizione è reale ed è ampiamente documentata da Fornero. Sacralità e qualità della vita sono paradigmi teorici complessi che hanno una struttura fondativa riconoscibile, tesi normative ricorrenti e chiari criteri di esclusione degli "eterodossi". Un esempio di queste clausole di esclusione è offerto dallo stesso Fornero attraverso l'uso della distinzione fra una laicità "forte" e una laicità "debole"2. Mentre la seconda si limita a indicare "un atteggiamento critico e antidogmatico" che si ispira "al principio dell'autonomia reciproca fra tutte le attività umane", la prima esige più rigorosamente che si ragioni "indipendentemente dall'ipotesi di Dio (etsi Deus non daretur)"3; secondo Fornero, "la laicità in senso forte sottintende piuttosto, per sua stessa struttura, il rifiuto della metafisica e di ogni ipoteca religiosa"4. Questo significa che dalla laicità forte è escluso chiunque sostenga, pur argomentando razionalmente e senza ricorso a tesi rivelate, un'etica in qualche modo connessa con la metafisica. Non solo. Nell'elenco degli "articoli di fede" della laicità forte che Fornero riassume con grande lucidità e trasparenza5 vi sono non solo il "ragionare come Dio non fosse" e il principio della qualità della vita (contrapposta alla sacralità), ma anche una serie di tesi filosofiche assai impegnative sul piano dell'ontologia, dell'antropologia, del diritto e della politica: la "completa umanità della morale" (forse una tesi antirealista in metaetica), la disponibilità della vita, il riconoscimento del "diverso valore qualitativo delle vite" (non tutte le vite hanno eguale valore), l'adozione della nozione funzionalista di persona (e il rifiuto di ogni tipo di concezione sostanzialista), l'assunzione dell'ottica liberale, il rifiuto di princìpi deontologici assoluti e la legittimazione dell'aborto, dell'eutanasia e della fecondazione assistita omologa ed eterologa.

Chi non condivide tutte queste tesi non può aspirare a inscriversi nella bioetica laica. Colpisce soprattutto l'esclusione di ogni connessione con tesi metafisiche. Nella tradizione filosofica molti autori importanti hanno costruito la propria etica su argomentazioni metafisiche. Autori non religiosi come Aristotele, Hobbes, Spinoza, Hegel, ma anche Wittgenstein (che collocava l'etica nell'"ineffabile") sono esclusi dalla laicità forte. Un bioeticista laico non può invocare i loro argomenti nel difendere le sue tesi, perché questi autori hanno teorie morali fortemente compromesse con la metafisica. Anche autori dichiaratamente non religiosi come Habermas, Jonas e Callahan non sono laici, perché per ragioni diverse si oppongono a qualche tesi bioetica (la normatività della natura umana in Habermas, la concezione normativa della vita in Jonas, l'eutanasia in Callahan). Perfino su Dworkin, icona del pensiero giuridico liberale americano, c'è qualche sospetto, giacché non disdegna di parlare di "sacralità" della vita (biografica). Un autore come Maffettone, sostenitore (come Dworkin) della continuità fra etica pubblica e "metafisica pubblica", dovrà prevedibilmente difendersi dall'accusa di coltivare nostalgie metafisiche. E lo stesso Fornero6 riconosce che proprio Scarpelli, padre della bioetica laica italiana, si dichiara espressamente contrario all'aborto sul piano morale individuale (ma la bioetica è anzitutto un'area della morale, non del diritto o della politica)7 e quindi a rigore non rispetta compiutamente i canoni dell'ortodossia laica.

Nel campo della sacralità della vita le cose vanno certamente peggio. Qui vige come pensiero unico una certa interpretazione del pensiero di Tommaso d'Aquino, in particolare una versione di derivazione neoscolastica denominata "personalismo ontologicamente fondato". La precisazione ha lo scopo di escludere ogni altra forma di personalismo o di teoria del rispetto per le persone, come anche di mettere in guardia dalle tesi eversive del "personalismo comunitario" di autori come Mounier (la cui testimonianza di vita cattolica è fuor d'ogni possibile dubbio) e, per certi aspetti, lo stesso Maritain, ambiguo padre della neoscolastica francese.

Come scrive Fornero, "un personalismo non ontologicamente fondato, che 1) optasse per uno sganciamento della dimensione etica da quella ontobiologica, 2) prescindesse in toto dai concetti di natura e di legge naturale (e quindi da ogni oggettivo riferimento all'essere), 3) si limitasse a discorrere, in modo generico (e "kantiano") di "dignità della persona" risulterebbe, agli occhi del cristianesimo "forte" della teoria della sacralità della vita, una dottrina teoreticamente fragile e incapace di esibire solidi criteri di scelta"8. Così, risultano certamente eterodosse tutte quelle posizioni che non adottano in blocco quella versione specifica del tomismo, benché essa si basi su un'interpretazione non da tutti condivisa del pensiero dell'Aquinate. Fare appello ad argomenti di altri filosofi o teologi non canonici non è permesso nella bioetica della sacralità della vita.

Ora, appare chiaramente che in questa contrapposizione le categorie di "laico" e "cattolico" sono state sottoposte a una torsione che difficilmente corrisponde al loro significato originario, su cui dovremmo tornare a riflettere. È però importante notare, preliminarmente, che questa torsione non è tanto imposta da Fornero quanto effettivamente rilevabile nei modi in cui "laici" e "cattolici" in bioetica sono venuti definendo le loro posizioni: la compattezza teorica delle etiche della sacralità e della qualità della vita è un fatto obiettivo, che si è prodotto all'interno di tradizioni più ampie di laicità e religiosità e che ha finito per radicalizzare un'opposizione che, a questo livello, è obiettivamente insanabile. Per certi aspetti, potremmo parlare in bioetica di un esproprio delle categorie di "laico" e "religioso" da parte di interpretazioni particolarmente rigide della laicità e della religiosità.

Questa situazione si è realizzata in Italia con un'intensità che non ha confronti in altri Paesi e che condiziona pesantemente il dibattito pubblico e la dinamica politica. La chiave di lettura per questo fenomeno è probabilmente il fatto che le questioni di bioetica sono divenute uno degli ambiti principali del problema dell'identità culturale. Soprattutto nelle dichiarazioni pubbliche e nelle scelte politiche su questi argomenti l'aspetto essenziale è diventato non la riflessione critica sul problema bensì l'appartenenza ideologica. Sacralità e qualità della vita, sotto questo profilo, sono due ideologie impegnate nella lotta per il potere politico sulla vita e la corporeità e i soggetti sono chiamati anzitutto a schierarsi con l'uno o l'altro partito senza possibilità di sfumature teoriche o pratiche personali. Il fatto che la divisione bioetica sia trasversale rispetto a quella politica e parlamentare non diminuisce affatto la radicalità dell'opposizione, perché questi problemi hanno una rilevanza identitaria molto più forte della familiarità politica e delle fedeltà di coalizione. I promotori dell'opposizione radicale (la Chiesa cattolica e, in misura molto minore e più dispersa, le agenzie riconosciute del pensiero laico forte)9 non perdono occasione per ridefinirne i confini in maniera netta, affinché gli individui siano numericamente raggruppabili in coorti chiaramente orientate nel caso di un voto parlamentare o di un referendum. Mancare di assumere una posizione estrema (come se le posizioni nette e chiare fossero solo le posizioni estreme) sulle questioni di vita crea un problema identitario che la cultura media italiana non sa risolvere. Il risultato è l'impossibilità di uno scambio ragionevole di opinioni e soprattutto l'impossibilità di giungere a decisioni condivise.

Questa interpretazione del significato politico della bioetica non è l'unica possibile. Anche l'opposizione teorica su cui essa si basa può essere messa in discussione. Innanzi tutto, si può essere più precisi circa la natura di questa opposizione. Il contrasto si basa essenzialmente sulla contrapposizione fra religioso e non religioso (intendendo con ciò tanto l'agnosticismo quanto l'espresso ateismo). Al coté religioso poi si ascrive una certa versione della metafisica (all'incirca quella sostanzialista tradizionale canonizzata dalla scolastica) come fondamento dell'etica mentre a quello non religioso si assegna una fondamentale opzione non cognitivista, antirealista in metaetica e liberale-libertaria in politica.

Sarebbe un importante contributo alla chiarezza impiegare qui sistematicamente una diversa coppia di concetti, quella fra rivelato e razionale. Le tradizioni religiose, in particolare le religioni "del libro", si basano su una Parola rivelata; la verità della dottrina, in questo contesto, dipende anzitutto dall'autorità della sua fonte, non dalla cogenza razionale degli argomenti. Una bioetica religiosa si fonda sull'interpretazione delle dottrine centrali di una rivelazione in relazione alle questioni della vita e della morte. Queste dottrine non sono contrarie alla ragione. Anzi, uno dei cardini della tradizione cattolica è proprio la tesi dell'armonia di fede e ragione. Tuttavia, quando l'argomentazione su una questione specifica pone fra le sue premesse una dottrina rivelata senza dimostrarla razionalmente, essa non può pretendere l'assenso di altri agenti razionali semplicemente in quanto tali. In questi casi, per i credenti subentra l'obbedienza, cioè l'accettazione del vero in forza dell'autorità e non in forza dell'esperienza e del pensiero. Per un'esperienza religiosa, questo "salto" della fede appartiene al rapporto personale con la rivelazione e la Parola, ma va da sé che essa non ha a che fare con la pretesa di una validità razionale universale dell'argomentazione proposta: l'assenso di qualunque agente razionale (anche non credente) alla tesi sostenuta può essere preteso solo a partire da premesse razionalmente dimostrabili. Poiché nelle democrazie liberali le dottrine rivelate sono ammesse ma non costituiscono il fondamento della convivenza civile, il religioso nell'ambito pubblico si impegnerà piuttosto in un'altra dimostrazione, basata su premesse difendibili su basi esclusivamente razionali.

Da questo punto di vista, le questioni bioetiche nell'ambito pubblico non possono che basarsi su premesse filosofiche, intendendo con ciò tesi dimostrabili in base a ragione ed esperienza. A meno di sostenere (come facevano ad esempio Pascal e Montaigne) che la morale non può essere razionale e che perciò occorre piuttosto affidarsi alle indicazioni provenienti da autorità affidabili, la bioetica dovrebbe essere interpretata come un terreno di confronto di argomentazioni confutabili ma anche razionalmente difendibili. Perfino la tesi scarpelliana dell'"etica senza verità" (cioè la tesi del non cognitivismo etico) non è necessariamente l'anticamera del relativismo10. Bisogna però distinguere il non cognitivismo dallo scetticismo etico radicale, il quale rinuncia alla criticabilità razionale delle tesi morali: lo scetticismo etico converge obiettivamente con il fideismo religioso. In questa deriva, le questioni bioetiche cessano di essere materia di discussione razionale e diventano esclusivamente ambiti di guerra ideologica. Che questo succeda di fatto, in particolare nel nostro Paese come si è detto, non significa che le questioni morali, in particolare quelle sulla vita, siano di principio irrimediabilmente irrazionali. Se si sostiene questo bisogna essere espliciti e bisogna coerentemente rinunciare alla condanna tanto di coloro che usano argomentazioni false, meramente retoriche o pregiudiziali (per esempio, i razzisti) quanto di coloro che impiegano argomenti derivanti dall'autorità o dalla rivelazione. La tesi dell'irrazionalità dell'etica, nella quale molta filosofia contemporanea si è compiaciuta (spesso tramite un fuorviante richiamo al pensiero di Nietzsche), legittima pienamente le morali integraliste, l'intolleranza e l'uso della violenza.

In un certo senso, la laicità dello stato di diritto si basa invece sul vincolo della argomentabilità razionale delle tesi sostenute. Questi vincoli non valgono solo nei confronti delle morali religiose, che non possono esigere l'imposizione universale di regole comportamentali derivanti esclusivamente dalla rivelazione, ma anche nei confronti degli scettici morali, i quali non possono rifiutare la regolamentazione di pratiche comuni in nome dell'irrazionalità di principio di ogni norma in materia. Per questo, la stessa laicità non può divenire appannaggio di una certa teoria morale a discapito delle altre, perché si tratta della pura e semplice laicità del pensiero, ovvero del suo operare a prescindere da una rivelazione. La tesi di fondo della laicità, in questo senso, non è l'etsi Deus non daretur bensì la sospensione del giudizio, nel pensiero razionale e filosofico, circa le dottrine esclusivamente rivelate. L'intero pensiero filosofico è nato da questa epoché nei confronti delle narrazioni religiose, mitologiche o rivelate che fossero, ma la tradizione filosofica non si è mai vincolata a una concezione così restrittiva della non religiosità del pensiero come quella che pretenderebbe la laicità "forte" della qualità della vita.

Bisogna ricordare che "laico" è un termine che ha origine nella tradizione religiosa e indica la condizione di chi non è chierico consacrato, ovvero di chi non è vincolato dal sacramento dell'Ordine o dagli ordini minori (castità povertà obbedienza). Il laico è cioè libero dall'obbedienza esclusiva alla sola autorità religiosa. Egli è tenuto alla vita morale ma in quanto questa è espressione della sua stessa ragione pratica. Su quest'ultima però non vi sono vincoli derivanti dall'autorità, bensì vi sono solo vincoli dettati dalle "leggi di natura" che la ragione riconosce come le proprie leggi. Questa tesi è comune, anche se in modi assai diversi, ad autori così lontani come Tommaso d'Aquino, Hobbes, Spinoza, Rousseau e Kant. È un grave impoverimento della nozione di laicità la restrizione del termine laico a una certa concezione filosofica (antimetafisica, antisostanzialista, antideontologica e anticognitivista) della morale. L'appropriazione in via esclusiva della qualifica di laico a un pensiero così delimitato e restrittivo non può non apparire indebita.

Qualunque teoria morale che proponga le proprie tesi in base ad argomentazioni razionali è laica nel senso più pregnante della parola, anche se quelle tesi sono connesse a teorie metafisiche, a concezioni sostanzialiste della persona o a tesi filosofiche sulla natura umana. In tal senso, la stessa bioetica della sacralità della vita, ammesso che sappia mostrare che le sue premesse non sono esclusivamente rivelate ma sono razionalmente argomentabili (e per questo esposte a una possibile confutazione) è espressione della laicità del pensiero. L'unica cosa da fare, se non si è d'accordo con tali premesse e con le loro conclusioni, è confutarle con buoni argomenti. Non serve, invece, tacciarle di essere consonanti con i contenuti di una tradizione religiosa, perché questo non significa affatto, di per sé, che esse siano irrazionali. Una morale religiosa non è razionalmente difendibile solo quando a sostegno delle proprie tesi non vi è nient'altro che una dottrina esclusivamente rivelata che eccede la ragione (per esempio, la Trinità di Dio). Se sostengo l'inaccettabilità dell'eutanasia con argomenti rigorosamente filosofici, posso attendermi di essere confutato da altri argomenti filosofici, ma non dalla tesi che il mio argomento non è "laico" perché è condiviso dalla bioetica "cattolica" e non dalla bioetica "laica".

C'è qui un aspetto interessante. Se i miei argomenti in materia bioetica non prevedono l'adozione del "personalismo ontologicamente fondato" non potrò iscrivermi nella bioetica "cattolica" della sacralità della vita. Poco male (ho già detto che la bioetica non deve essere un problema identitario), ma siamo sicuri che si tratti dell'unica bioetica accessibile a un cattolico? Di fatto è certamente vero che quella è la teoria bioetica dominante e "ufficiale", perciò chi argomenta diversamente deve avere il coraggio di dichiararsi dissidente. È un diritto anche per i cattolici essere dissidenti, soprattutto in materia di morale dove non sono in questione le tesi dogmatiche che caratterizzano il cristianesimo. Probabilmente non è eretico sostenere che la bioetica della sacralità della vita (in particolare nella versione del "personalismo ontologicamente fondato") non è l'unica compatibile con i dogmi centrali del cristianesimo. L'impressione è però che verso le tesi non conformi in tutti i dettagli alla dottrina prevalente venga esercitato un sostanziale ostracismo.

Anche la bioetica laica, se pretende di essere l'unica forma possibile di bioetica non religiosa, finisce per essere intollerante. Intatti, se la laicità della bioetica deve essere intesa esclusivamente nel senso "forte" allora da essa sono esclusi, come abbiamo visto, tutti coloro che argomentano razionalmente ma, purtroppo per loro, senza escludere la metafisica o seguendo un approccio deontologico. Ma perché mai l'attribuzione di "laico" dovrebbe essere ristretta a una così specifica teoria filosofica, per giunta nemmeno troppo riconoscibile in un preciso gruppo di autori della tradizione occidentale? Perché la bioetica "laica" potrebbe solo esserlo nel senso dell'accezione "forte" della qualità della vita?

Fornero si limita a descrivere questa situazione e certamente rifugge dal ritenere che la dicotomia da lui rilevata sul piano storiografico sia anche normativa. Ciò che Fornero non dice però è importante ed è riassunto nella domanda: se questa è la condizione della bioetica in Italia, possiamo e dobbiamo accettare che continui ad esserlo? Ciò vale tanto per i cattolici, la cui uniformità di pensiero bioetico non è necessariamente un bene per la fede, quanto per i laici, la cui riduzione a un pensiero unico bioetico sarebbe per lo meno indice di una scarsa creatività filosofica.

La bioetica, per essere un'attività intellettuale e politica seria e consapevole, deve sforzarsi di superare le opposizioni sterili. Quella fra cattolici "della sacralità della vita" e laici "della qualità della vita", oltre a non rispecchiare la distinzione fra coloro che vivono l'esperienza del cristianesimo e chi vive secondo una visione non religiosa, è una contrapposizione che ha dimostrato la propria sterilità nelle vicende culturali e politiche di questi anni. Una bioetica diversa non solo è possibile ma è forte mente auspicabile. Ne sono testimonianza proprio le teorie morali non irreggimentate in quella dicotomia e improntate all'argomentazione razionale, alla comprensione sensibile dei problemi e alla ricerca di soluzioni ragionevoli11. Nella riflessione filosofica la pluralità di teorie e tradizioni è un segno di vitalità, uno stimolo costante pensiero rigoroso. La discussione pubblica non dovrebbe più essere consegnata due soli interlocutori le cui tesi estreme hanno mostrato di non poter dare luogo a regolamentazioni condivise delle pratiche che incidono sulla vita e sul corpo.

Al tempo stesso, occorre sviluppare una visione sufficientemente condivisa delle tutele essenziali che lo Stato deve garantire agli individui in questi ambiti, operando per gradi e mirando a soluzioni praticabili. La nozione rawlsiana di "consenso per sovrapposizione" riflette piuttosto bene la condizione in cui si può giungere a decisioni sensate in ambiti pubblici come questi: ogni tradizione morale può consentire, per ragioni e su basi diverse, a definire i vincoli che garantiscano a ciascuno il rispetto, l'eguaglianza e la libertà. Occorre però per questo una visione alternativa all'opposizione sacralità-qualità della vita. L'auspicio è che il libro di Fornero stimoli a sviluppare approcci alternativi che vadano in questa direzione e che, in un futuro panorama della bioetica italiana, lo stesso autore sia indotto a disegnare un quadro in cui non si trovino solo il bianco e il nero.

Note

1 G. Fornero, Bioetica cattolica e bioetica laica, Bruno Mondadori, Milano 2005.

2 Cfr. ivi, pp. 67-68.

3 Ivi, p. 67.

4 Ivi, p. 72.

5 Cfr. ivi, p. 96.

6 Cfr. ivi, p. 119, p. 164.

7 A questo proposito, proprio in tema di aborto come problema specificamente morale e non giuridico, offre un importante contributo di chiarezza il recente libro di M. Reichlin, Aborto, Carocci, Roma 2007.

8 G. Fornero, Bioetica cattolica e bioetica laica, cit., p. 57.

9 L'influenza del Magistero cattolico sulle opinioni dei fedeli non ha bisogno di essere documentata. Anche la morale laica forte ha i suoi tribunali, come si è visto in occasione della levata di scudi contro il libro di J. Habermas, Il futuro della natura umana, Einaudi, Torino 2002, reo di aver sostenuto l'idea di un'indisponibilità dei fondamenti biologici della vita umana e, su questa base, di aver criticato l'eugenetica, la sperimentazione su embrioni e la donazione.

10 Cfr. ivi, pp. 122-128.

11 Vi è un'ampia bibliografia in proposito. Un manuale di bioetica molto attento alla pluralità di teorie morali coinvolte nella bioetica è ad esempio quello di C. Viafora, Introduzione alla bioetica, Franco Angeli, Milano 2005.