«L'Indice»
Anno XXVI - n. 4 - aprile 2009
Una vita che possa dirsi umana
di Cesare Pianciola
Questo libro del noto allievo e collaboratore di Nicola Abbagnano riprende i temi del precedente Bioetica cattolica e bioetica laica (Bruno Mondadori, 2005) che dette origine a un ampio dibattito cui parteciparono sia esponenti della prima corrente, come Elio Sgreccia, sia studiosi della seconda, come Maurizio Mori, Patrizia Borsellino ed Eugenio Lecaldano. I testi del dibattito, originariamente comparsi nella rivista «Bioetica» nel 2007, sono riportati nelle prime centododici pagine del volume. Segue una seconda parte con le risposte di Fornero raggruppate su tre temi principali e un'ultima parte di Approfondimenti e sviluppi.
Innanzi tutto, Fornero ribadisce le buone ragioni della contrapposizione tra due modelli bioetici, quello cattolico – o meglio, del magistero cattolico, del quale riporta puntigliosamente i documenti, e di quei bioeticisti che ne seguono i dettami – centrato sul criterio prevalente della sacralità della vita e della sua indisponibilità, e quello laico che, pur nella varietà delle posizioni, ha come minimo comun denominatore il criterio della qualità della vita e della sua disponibilità, cioè del riconoscimento della «capacità – da parte dell'individuo – di disporre in piena autonomia di se stesso». I laici, come diceva Scarpelli, non si basano «sul valore comunque della vita, ma del valore di una vita che possa dirsi umana» e respingono il personalismo ontologicamente e metafisicamente fondato sulla creaturalità e dipendenza da Dio, con il suo corollario di un piano divino del mondo con funzione normativa e di una "legge naturale" che si presenta cogente per tutti. Nonostante i fautori delle terze vie che «sembrerebbero, a prima vista, imboccare vie nuove, mentre in realtà si limitano a elasticizzate categorie etiche tradizionali» (Fornero è particolarmente polemico nei confronti di Massimo Reichlin e della rielaborazione in senso cattolico di un personalismo di matrice kantiana), rimane il contrasto strutturale tra due famiglie di pensiero, una delle quali declina in senso forte l'etsi deus non daretur e pratica quella piena indipendenza da presupposti ontoteologici che il cattolicesimo romano condannava ieri come oggi («L'umana ragione, senza tenere alcun conto di Dio, è l'unico arbitro del vero e del falso, del bene e del male, è legge a se stessa, e con le sue forze naturali basta a procacciare il bene degli uomini e del popoli» recitava la proposizione n. 3 del Sillabo). Questa "laicità forte" si articola poi in due varianti: quella a-religiosa (per esemplificare: Bobbio) e quella anti-religiosa (per esemplificare: Viano).
Una delle tesi del libro è che alla laicità forte, sia nella versione moderata sia in quella radicale, vada riconosciuta l'autonomia teorica che le compete, respingendo la tendenza molto diffusa a squalificarla come residuale "veterolaicismo" rispetto alla più ampia e comprensiva "laicità debole" o procedurale. Quest'ultima richiede: l'autonomia discorsiva, ossia un «modo di ragionare critico, che prescinde, in linea di diritto, da qualsiasi ipoteca fideistica e dogmatica»; il rispetto del pluralismo delle posizioni e il metodo della tolleranza: l'accettazione delle tecniche giuridico-politiche delle democrazie moderne e del carattere non confessionale dello Stato, con la netta separazione tra la sfera delle credenze religiose e la sfera della legislazione valevole per tutti i cittadini.
Fornero, che intende essere imparziale «storiografo – o analista – di paradigmi», ripete ogni volta di voler evitare riduttivismo e forzature polemiche. Giustamente riconosce che ci sono numerosi credenti che nel dibattito pubblico non fanno valere argomenti fideistici e ragionando mettono fra parentesi le proprie convinzioni religiose (in bioetica, ad esempio, Engelhardt), ma la sua forte preoccupazione «di rendere giustizia alle componenti razionali e argomentative della bioetica cattolica» ufficiale lo spinge – rispondendo a Patrizia Borsellino e ad altri – a sopravvalutare l'autonomia discorsiva e la laicità (debole) della "metafisica razionale", sostanzialmente di impianto tomistico, e a cercare di districarla dalla per nulla laica pretesa di possedere il monopolio della verità etica, con la «concomitante tendenza a imporre a tutti il proprio modello di bene e di male».
Impresa che ci sembra difficilissima. Fintantoché i princìpi "non negoziabili" della bioetica cattolica si presenteranno non già come scelte filosofico-religiose, ma come valori naturali-razionali che tutti dovrebbero riconoscere se solo seguissero la retta ragione, anche la dichiarata adesione alla laicità larga o procedurale non andrebbe presa troppo sul serio. Queste riserve sono tuttavia marginali rispetto a una ricerca che ha il merito di illustrare molto bene l'importanza strategica della bioetica ai fini di un ripensamento complessivo della laicità e della ridefinizione dei suoi vari significati.