«l'eco del chisone»
11 giugno 2008
Tutti laici o no? Un contributo al dibattito
di Tonino Rivolo
La laicità sembra essere diventata ormai una caratteristica comune a tutti e tutti la rivendicano come propria: credenti e non credenti, agnostici e cattolici.
Il rimescolamento di carte è tale che non si capisce più se i termini laico e credente siano antitetici e contrapposti oppure se esistano punti di contatto e di convergenza tra i due. E ancora: se i laici siano necessariamente dei non credenti e addirittura degli antireligiosi o se la confusione abbia raggiunto livelli tali per cui le categorie di credenti-laici o di laici-devoti, come vengono ironicamente definiti alcuni pensatori e leader attuali, abbiano una loro ragion d'essere.
Certo è che, al di là dell'opinione individuale di ognuno, la deriva terminologica e concettuale in materia ha raggiunto livelli tali per cui è difficile trovare un linguaggio comune che eviti il parlare vuoto, indefinito e contraddittorio.
A rimettere ordine in queste cose è un libro di Giovanni Fornero appena edito da Bruno Mondadori: Laicità debole e laicità forte.
In esso lo studioso e continuatore dell'opera di Nicola Abbagnano, vigonese d'origine, del quale si è già parlato su queste colonne, indica un percorso che mira a riportare al significato primo e all'essenzialità i termini della questione.
«Oggi la laicità è "di moda" e i discorsi su di essa proliferano. Proprio perché ritenuta "trendy" e progressista, essa attira consensi, al punto che tutti fanno pubblica professione (verbale) di laicità. I cattolici stessi, dopo averla a lungo respinta, l'hanno vistosamente riabilitata e – come ha scritto Lucetta Scaraffia su "Avvenire" – usano il termine "laico" quasi fosse un bollino di garanzia» scrive nella prefazione al volume.
Detto dell'uso e dell'abuso che si fa di questo termine, Fornero rivela subito qual è la sua tesi di fondo per poi andare oltre: «Accanto ad un significato "debole", esiste anche un significato "forte" di laicità, rispetto a cui la distinzione fra non credenti e credenti, anziché risultare inessenziale, riacquista il suo significato originario di elemento discriminante».
Entrambe le posizioni sono egualmente «legittime ed indispensabili, nonché rispettabili», a giudizio di Fornero, ma è bene evitare confusioni fuorvianti perché «nell'accezione debole si è tutti laici, mentre in quella forte non si è tutti laici, o per lo meno non si è tutti laici allo stesso modo e allo stesso livello di radicalità».
Per evitare però che il ragionamento si aggrovigli per un verso e si sublimi per un altro in una speculazione linguistica e filosofica di quasi esclusiva competenza degli esperti, l'autore collega ad esso il tema attualmente scottante della bioetica «perché ha finito per porsi come una sorta di cartina di tornasole della consistenza – e della capacità esplicativa – di ogni possibile discorso sulla laicità».
Coniugando i due vocaboli contestualmente, i concetti si possono chiarire perché l'uno dà sostanza all'altro e ne rivela la valenza filosofica, etica, storica e filologica.
In che posizione si pone Giovanni Fornero rispetto ai due schieramenti? Vuole essere equidistante e lo dice: «Una caratteristica del volume, che lo accomuna al metodo che ho sempre seguito nei miei lavori di storia della filosofia [editi dalla Utet, dalla Paravia e più di recente dalla Bruno Mondadori, ndr], è lo sforzo di "dare a ciascuno il suo", cioè il tentativo di riprodurre in modo imparziale e documentato le varie posizioni di pensiero».
Il libro Laicità debole e laicità forte è suddiviso in tre parti: la prima raccoglie gli interventi suscitati dal volume Bioetica cattolica e bioetica laica pubblicato con successo da Fornero nel 2005; la seconda contiene le risposte ai critici; la terza affronta a livello storico e teorico i temi-chiave della bioetica e della laicità.
Prima di chiudere, un'ultima annotazione sul libro, che riporta l'autore alle sue origini vigonesi e alla sua famiglia. Infatti in apertura si legge la dedica: «Ai miei genitori, Irene e Mattia, a cui tanto debbo».