«Avvenire»
1 maggio 2008
Bioetica e Stato «laico»:
la difficile quadratura del
cerchio
Un libro di Giovanni Fornero su pluralismo, democrazia e etica della vita
di Andrea Galli
Chiarezza espositiva, buona conoscenza dei testi del Magistero oltre che della produzione del mondo cattolico sui temi della biomorale, e onestà intellettuale. Di questo a Giovanni Fornero va sicuramente dato atto. Il che, oggi, non è poco. Dopo il volume del 2005, Bioetica cattolica e bioetica laica, dove l'allievo di Nicola Abbagnano esponeva con una sintesi efficace le diverse posizioni in campo, lo stesso autore propone una continuazione di quel lavoro dal titolo Laicità debole e laicità forte. Una raccolta di riposte e critiche alle sue riflessioni precedenti che coprono abbastanza bene lo spettro del dibattito italiano – da Massimo Reichlin a Mario Palmaro, da Patrizia Borsellino a Elio Sgreccia, fra gli altri – più un approfondimento, in una ricca appendice, su un nodo strettamente legato alle discussioni sull'etica della vita: il concetto, appunto, di laicità. Scrive Fornero, e giustamente, che «se da un lato non è possibile parlare di bioetica senza parlare, al tempo stesso, di laicità, dall'altro non è (più) possibile parlare di laicità senza tener conto, nel contempo, la bioetica. Anzi la bioetica ha finito per porsi come una cartina al tornasole della consistenza – e della capacità espositiva – della laicità».
La tesi di fondo del filosofo torinese è che di fatto esiste una bioetica «cattolica» (aggettivo spesso inviso agli stessi cattolici, nello sforzo di fondare le proprie argomentazioni su basi prettamente razionali) sia in un senso storiografico come bioetica elaborata da studiosi di matrice confessionale, sia in un senso forte, come «biomorale contenuta nei documenti pubblici del Magistero» o di ricercatori in consonanza con esso. Ed esiste altresì una bioetica «laica», dove «laica» è riferita non alla metodologia d'indagine, ma a una visione d'insieme che non tiene conto né della possibile esistenza e volontà di Dio, né di un'ipotetica creaturalità dell'uomo, né di un eventuale progetto divino sulla vita. Due bioetiche che per Fornero risultano al fondo alternative o inconciliabili. Da qui segue la domanda delle domande: come è possibile in uno Stato pluralista e democratico, chiamato ad essere «orizzonte di coesistenza delle diversità», trovare la quadra fra le diverse istanze? La risposta, articolata con finezza, starebbe nel classico Stato laico modellato sull'etsi Deus non daretur, che alla prova della storia si sarebbe dimostrato, se non perfetto, «il più funzionale strumento di gestione della complessità». Un etsi Deus non daretur morbido, per così dire, da interpretare come semplice neutralità dell'apparato istituzionale rispetto alle voci da esso rappresentate. Non un etsi Deus non daretur inteso come espunzione a priori delle rivendicazioni cattoliche. Anzi.
Insomma, uno Stato laico dove la conciliazione fra etica e politica dovrebbe passare per una serie di compromessi, «dettati dalla necessità pratico-politica di una mediazione fra i diversi punti di vista (e interessi) in gioco». L'impostazione richiama abbastanza il «metodo della ragione pubblica» elaborato dal filosofo liberale John Rawls e ripreso anche nel manifesto di bioetica stilato in occasione della nascita del Partito Democratico. Ma si tratta di una soluzione che, come faceva notare Francesco D'Agostino su «Avvenire» proprio commentando quel manifesto, risulta valida in astratto, molto meno in concreto: per funzionare concretamente deve infatti rimuovere i veri, scottanti punti su cui è pressoché impossibile una mediazione. E questa aporia, questa empasse, lo stesso Fornero, da pensatore leale qual è, non la nasconde.