«La Repubblica»
19 agosto 2008
Laici forti e laici deboli
Etica e politica. Un saggio del filosofo Giovanni Fornero
di Elisabetta Ambrosi
La vicenda di Eluana Englaro, al centro dell'attenzione pubblica negli ultimi mesi, è solo l'ultimo tra i casi che innescano il dibattito etico in ambito politico e mediatico, che spesso si accende e divampa senza nessuna chiave interpretativa solida. A fornire invece una prospettiva strutturata e originale su questi temi è il recente libro di Giovanni Fornero Laicità debole e laicità forte, uscito per Bruno Mondadori: prosecuzione e insieme approfondimento della riflessione nata dal precedente volume Bioetica cattolica e bioetica laica, che già molto aveva fatto discutere.
In entrambi i testi, l'allievo di Abbagnano fa sua la riflessione del bioeticista Scarpelli: «Ove esistesse un Dio con le caratteristiche dei cristiani, e noi potessimo conoscerlo, l'etica e in essa la bioetica ne sarebbero profondamente condizionate». In altre parole, secondo Fornero, la spaccatura fra (bio)etica laica e (bio)etica cattolica esiste, perché i ragionamenti che stanno alla base delle due visioni sono radicalmente diversi: da un lato, l'idea di Dio come fondamento dell'uomo, il concetto di legge naturale, il primato della verità sulla libertà. Princìpi da cui discendono la sacralità della vita e la sua assoluta indisponibilità. Dall'altro, il criterio dell'etsi Deus non daretur e il primato della libertà sulla verità, da cui seguono la centralità della qualità della vita e la sua disponibilità (il fatto cioè che posso disporre liberamente di me stesso).
L'obiettiva di Laicità debole e laicità forte è tuttavia quello di andare oltre i dilemmi relativi alla vita e alla morte: proprio perché essi costituiscono, secondo l'autore, una «cartina al tornasole» di un più generale discorso sulla laicità, sul quale il libro interviene con una tesi vigorosa. Al contrario di alcuni – credenti à la D'Agostino da un lato, laici à la Magris dall'altro – sembrano sostenere, per Fornero «non siamo tutti laici, proprio come non siamo tutti cattolici». A dispetto delle apparenze, le incomprensioni in questo campo sono causate più dal tentativo di annacquare le credenze, per mostrare che le distanze sono irrisorie, che dalla ferma rivendicazione delle proprie posizioni.
Il compito più urgente è, allora, la chiarificazione dell'ambiguo termine «laico». C'è infatti una laicità «debole», che descrive una «metodologia neutrale universalmente ammissibile»; e una laicità «forte», che sta ad indicare chi vive e pensa a prescindere da Dio. Purtroppo, quest'ultima accezione è sparita dal dibattito pubblico, tanto che oggi tutti, cattolici compresi, si dichiarano laici, mentre il significato non religioso viene liquidato con l'etichetta di «laicismo».
Col risultato che qualunque obiezione avanzata a difesa dei princìpi non religiosi viene subito tacciata di antireligiosità, il che costringe i laici in senso forte – che poco hanno a che spartire con chi avanza pesanti critiche alle visioni confessionali, da Onfray a Dawkins, da Flores D'Arcais a Viano – ad un frustrante silenzio. Il significato procedurale, quello secondo cui possiamo definire uno Stato «laico», rigorosamente in senso debole, è indispensabile, ma al tempo stesso l'accezione forte di laicità, «vivere senza Dio», va mantenuta, perché il dibattito non si svolga tra cattolici-laici e laici «devoti» da un lato, e laicisti ostili alla religione dall'altro.
Ma che fine fanno, in questa prospettiva che oppone con nettezza credenti e non, il cristianesimo non metafisico, così come la laicità aperta alla sacralità della vita? «Non nego il fascino quasi avveniristico della posizione di Vattimo», risponde Fornero, «ma constato che essa è minoritaria rispetto alla dottrina ufficiale della Chiesa cui faccio riferimento. Tuttavia il mio discorso è rivolto soprattutto a quei cattolici che, tentando di attutire le differenze, avanzano come universali forme camuffate delle loro credenze. E a quei laici che, dichiarandosi in sintonia con la religione, non fanno i conti con la diversità dei princìpi».
Insomma, abbattere gli steccati è nobile, ma «non come in certi rituali magici in cui si arriva a fagocitare il nemico». Più onesto è il riconoscimento della propria «fisiologica e non disdicevole» diversità. Essa non va esorcizzata, sia perché «fa parte integrante della nostra configurazione di esseri storici, che vivono in società in cui la pluralità gioca un ruolo primario», sia perché «è un destino dal quale non possiamo illusoriamente prescindere».