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24 maggio 2008
Si fa presto a dire laico
Un «reciproco apprendimento» tra credenti e non credenti richiede il rispetto di un vero pluralismo
di Gian Enrico Rusconi
Chi fosse alla ricerca di un libro che faccia il punto sul rapporto tra laici e cattolici in Italia legga Laicità debole e laicità forte. Il contributo della bioetica al dibattito sulla laicità di Giovanni Fornero. Puntiglioso, rigoroso, generoso, l'autore, che si definisce «analista di paradigmi», offre un quadro convincente della situazione. La sua tesi è che «tutti i modi della laicità vanno riconosciuti e rispettati nella loro molteplice alterità».
Eppure il titolo del libro e il suo leimotiv («laicità debole/forte») si prestano ad essere intesi in modo semplicistico, incontrasto con le precisazioni e le argomentazioni presenti nel testo. L'osservazione non è banale in un momento in cui in Italia si constata una sostanziale paralisi dello scambio di argomenti, tutto a vantaggio di discorsi pubblici dominati da formule che mirano alla semplificazione politico-giornalistica. L'autore lo sospetta quando contesta che la sua distinzione tra laicità debole e forte sia una fotocopia a segni rovesciati della distinzione diffamatoria laico/laicista.
Perché insistere su questo dettaglio che può apparire nominalistico in un libro denso di motivi di sostanza? Perché è cambiata la congiuntura da cui l'analisi prende spunto, cioè dallo zelo con cui tutti in Italia (cardinali in testa) si dichiarano laici. Infatti impercettibilmente da alcuni mesi non è più così. Finalmente dominanti sulla sfera pubblica sui cosiddetti temi eticamente sensibili i cattolici (sono chiamati così anche da Fornero che curiosamente rinuncia a definirli in modo più preciso e speculare ai laici) non sentono più il bisogno di legittimarsi come «veri laici». Ai loro occhi sono – caso mai – i laici che devono giustificarsi nella loro ostinata presunzione di offrire criteri di etica pubblica che sarebbero contrari al «sentire degli italiani».
La sfera pubblica non è più il luogo in cui si trasmette o confluisce la riflessione di principio, ma il luogo in cui si costruisce il discorso. Nella congiuntura attuale la saggia tesi di Norberto Bobbio «capire prima di discutere» acquista un significato diverso. Infatti ci si capisce solo discutendo – a patto che si sia disposti ad accogliere le argomentazioni dell'altro. È questo del resto il senso della richiesta di Jürgen Habermas, ripresa in Italia con enfasi dal mondo cattolico (e dallo stesso Pontefice), che sia dato accesso senza restrizioni nella sfera pubblica alle argomentazioni del credenti.
In realtà questa richiesta (peraltro superflua nel nostro Paese) dà luogo ad un equivoco. Infatti «il reciproco apprendimento» tra credenti e non credenti, atteso da Habermas, non avviene affatto. Si ha invece il dispiegamento politico delle reciproche posizioni che nel migliore dei casi diplomatizza quello che dovrebbe essere «il dialogo» tra laici e cattolici.
Su questo sfondo si colloca la ripresa da parte di Fornero del concetto «forte» di laico, inteso come non credente, nella accezione tradizionale, che oggi rischierebbe di rimanere emarginata. L'autore intende rivalorizzarla pienamente nella doppia forma di laicità a-religiosa e laicità anti-religiosa.
L'operazione gli riesce molto bene, ma il punto non è la piena legittimità della figura del laico non credente, bensì l'efficacia strategica della sua posizione nel confronto con i credenti. Il punto è il tipo di laicità che deve ispirare l'etica pubblica in Italia. A questo proposito Fornero, che segue scrupolosamente tutti gli aspetti del problema, mostra qualche oscillazione di giudizio. Troppo semplice appare la distinzione di avvio tra laicità «debole» intesa in senso puramente metodologico, e laicità «forte» definita sostantivamente dal non credere. È vero che l'autore nel corso delle sue riflessioni corregge e integra questa definizione. Ma personalmente ritengo che sia «forte» la laicità che costringe il credente ad argomentare pubblicamente in modo non religioso. È «forte» perché gli contesta il suo modo di argomentare religioso che si presume razionale. Questo è il senso dell'espressione «diversamente credente».
A questo proposito la formulazione (che è decisiva per lo scrivente) etsi deus non daretur non è una soluzione meramente metodologica, anche se merita una riflessione sostantiva assai più impegnativa di quanto non si sia fatto sin qui, tant'è vero che l'etsi deus non daretur inquieta e irrita parecchi cattolici che preferiscono avere a che fare con atei o «sani» miscredenti.
Il libro di Fornero termina con belle pagine sull'etica della responsabilità e sull'etica della ragionevolezza che credo siano condivisibili da tutti. Eppure la necessità di una coesistenza amichevole – in nome della comune cittadinanza – non cancella il dato paradossale che il «dialogo delle ragioni» si ferma davanti ad insuperabili differenze di giudizio sulle cose più importanti della vita. Il laico è «forte» non semplicemente per la serena certezza delle proprie convinzioni, ma perché accetta con rispetto la pluralità delle posizioni.