«OggiScienza»
4 aprile 2020
"Indisponibilità e disponibilità della vita", di Giovanni Fornero
Nel nuovo saggio del filosofo italiano, pubblicato da UTET, una difesa filosofico-giuridica del suicidio assistito e dell'eutanasia volontaria.
di Francesca Zanni
Si è parlato spesso di eutanasia e di fine vita negli ultimi anni. Dal caso di Piergiorgio Welby a quello di Eluana Englaro, fino al più recente dibattito su Fabiano Antoniani, conosciuto come DJ Fabo sono stati moltissimi i casi in cui la volontà di alcuni cittadini di porre fine alla propria vita si è scontrata con le leggi ma anche con il parere e l'etica di molte persone. Nel voluminoso saggio Indisponibilità e disponibilità della vita. Una difesa filosofico giuridica del suicidio assistito e dell'eutanasia volontaria (UTET 2020, 35€) Giovanni Fornero, saggista e filosofo italiano che si è largamente occupato di temi di bioetica legati al suicidio assistito e al fine vita, vengono sviscerati questi temi da diversi punti di vista. Innanzitutto quelli filosofico-giuridici, ma è merito dell'autore anche quello di analizzare il tema dal punto di vista dell'etica medica e dei compiti e delle responsabilità del personale sanitario.
I concetti di Disponibilità e Indisponibilità della vita
I due concetti di disponibilità e disponibilità della vita, che danno il titolo al saggio di Fornero, sono di particolare importanza per cogliere al meglio tutte le sfumature del dibattito. L'indisponibilità della vita è quel concetto che ritiene che la vita non sia a disposizione dell'uomo, cioè, come già affermava Socrate nel Fedone di Platone: "noi uomini siamo di proprietà degli dei". Questa visione è particolarmente vicina alla religione, anche quella cattolica. Per disponibilità della vita "si intende invece la facoltà e il diritto di poter decidere circa l'essere o non essere della vita umana", ed è la visione più laica del modo di intendere la propria vita, che è completamente sottoposta alla volontà dell'individuo.
Le due visioni sono diametralmente opposte: mentre da un lato l'essere umano non è padrone della propria vita in quanto essa non gli appartiene perché di proprietà di un'entità superiore, dall'altro l'essere umano in quanto tale possiede la sua stessa vita ed è quindi autorizzato a farne ciò che crede in base ai propri valori e necessità.
Queste due differenti visioni sono state in passato applicate a temi come il suicidio e l'omicidio per legittima difesa. Oggi però, con lo sviluppo della medicina la questione si è complicata di molto. Per esempio, se si parla di disponibilità della vita, si intende solo per la propria vita o anche per quella degli altri?
La responsabilità medica
È proprio partendo da questa domanda che Fornero espone un tema particolarmente pregnante nel dibattito sul fine vita: il medico che responsabilità ha nel disporre della vita dei propri pazienti? Fornero riporta il parere di Massimo Gandolfini, neurochirurgo e psichiatra, strenuo oppositore della legge sull'aborto, organizzatore di due family day e consultore della Congregazione delle cause dei santi: "Un argomento-tipo contro le pratiche eutanasiche è quello secondo cui esse sarebbero in assoluta e lampante contraddizione con la natura stessa della medicina". (Questo parere è apparso tra le righe dell'articolo "L'aborto ammazza più delle guerre. Non può essere un diritto umano" pubblicato nel 2018 su "La Verità"). Secondo questa teoria, che affonda le sue radici nel Giuramento di Ippocrate, l'eutanasia e tutte quelle pratiche che "pongono fine a una vita" (quindi, dal punto di vista cattolico, anche l'aborto) sarebbero contrarie non solo alla morale religiosa ma anche a quella medica, che ha il preciso intento di salvaguardare la vita umana in tutte le sue forme.
Il medico insomma, da dispensatore di cure a favore della vita, diventerebbe dispensatore di morte, tradendo il suo obiettivo e l'etica professionale, se ci basiamo letteralmente sul Giuramento di Ippocrate. Fornero sostiene che respingendo la visione "ippocratica" del medico-sacerdote-custode della vita a prescindere dalla qualità della stessa, egli diventerebbe una figura che cerca il bene incondizionato dei suoi assistiti in modo antipaternalistico, rendendo la morte assistita un gesto "estremo" ma che rispetta la volontà profonda del paziente, ponendo fine alle sue sofferenze e rendendo un servizio umano e sociale a chi soffre. Il parere dell'autore riesce a emergere in modo chiaro lungo tutto il complesso elenco di citazioni e tesi a sostegno di una e dell'altra teoria, risultando infine con un abile gioco di confutazioni quello più credibile e obiettivo, nonostante il terreno decisamente scivoloso del tema affrontato.
La differenza tra eutanasia e suicidio assistito
Diventa infine necessario descrivere la differenza tra eutanasia e suicidio assistito. Il termine eutanasia indicava in origine una morte "serena" ma naturale, cioè il concetto proprio di "dolce morte", non provocata, quindi. Col tempo la parola ha assunto invece il significato di morte procurata fino a raggiungere l'estremo durante il periodo nazista quando veniva utilizzata per definire certe uccisioni assolutamente ingiustificate. Nonostante l'utilizzo "abusivo" del termine anche in queste sfaccettature, "eutanasia" è un termine ancora oggi utilizzato per indicare:
- Il rifiuto delle cure, anche salvavita, da parte del paziente competente;
- la rinuncia all'accanimento terapeutico;
- la terapia del dolore e le cure palliative, anche se da esse dovesse derivarne, come effetto collaterale, l'abbreviazione della vita del paziente.
Ci sono dei casi in cui il paziente non è in grado di rinunciare a questi trattamenti in modo autonomo per le sue condizioni di salute. Si parla quindi in questi casi di suicidio assistito, che è stato spesso attaccato dalla teoria indisponibilista (ovvero quella che si basa sul principio di indisponibilità della vita) in quanto associato all'omicidio. Come solito nel testo, Fornero anche in questo caso espone prima il punto di vista indisponibilista, per poi smontarlo ad arte e proporre invece la sua personale visione della questione. In questo caso l'autore riportando diversi pareri (tra cui quelli di Chiara Lalli, bioeticista; Patrizia Borsellino, professoressa di Filosofia del diritto; e Giuseppe del Vecchio, giurista) oltre al suo, afferma che nel suicidio assistito il medico è un mero strumento nelle mani del paziente, che agisce per sua interposta persona non potendo il malato soddisfare la propria esigenza di porre fine autonomamente a una vita che non ritiene degna di essere vissuta.