«L'Indice»
23(2006), n. 2

Sacralità o qualità della vita?

di Mariella Immacolato

Finalmente un libro che fa emergere i problemi della bioetica italiana, invece di far finta che non ci siano o di farli sparire con sdolcinature varie! Grazie a una documentatissima ricostruzione storiografica, Fornero ha messo in bell'evidenza che la contrapposizione tra la bioetica laica e quella cattolica esiste ed è netta. Ai "negazionisti" sarà ora più difficile continuare a negare che in Italia le bioetiche sono (almeno) due, e che sono contrapposte. Questo risultato è importante anche perché, attraverso un'opera di carattere storico, Fornero è riuscito anche a dar voce a quel robusto filone di pensiero laico che solitamente non appare (o addiritttura viene occultato) sui media, più pronti a attenti a sottolinere l'abbraccio tra cardinali-vescovi e quanti continuano a dipingere l'Italia come la "nazione cattolica".

Si tratta di quel pensiero laico (spesso indicato in modo spregiativo con "laicista") elaborato da un gruppo di studiosi che fanno riferimento ad associazioni come il centro studi Politeia di Milano o la Consulta di Bioetica, pensiero laico che sembra interpretare le opinioni condivise non solo dalla gran massa di italiano che vive secondo i canoni della secolarizzazione, ma anche da quei moltissimi cattolici che aderiscono al cosiddetto "scisma sommerso", ossia il distacco silenzioso da molti punti della dottrina cattolica romana. Presentare oggi tale distinzione è più che mai utile, e consente di capire la stranezza del mondo politico italiano, che rifiuta con pervicacia di discutere di bioetica e quando lo fa, qualunque sia lo schieramento, fa fatica ad affermare valori o assumere posizioni che possano risultare in contrasto con il Magistero ecclesiastico, con il risultato di un'apparente convergenza su temi che la società o ha ormai superato – penso ad esempio all'aborto – o che non dovrebbero essere più in discussione, come per esempio il diritto all'autodeterminazione in materia sanitaria.

Fornero ha scritto un capitolo di storia della filosofia contemporanea ricostruendo la controversia sulla bioetica, ma quest'aspetto di carattere più sociologico circa la relativa influenza storica delle verie tesi esaminate avrebbe forse meritato di essere tematizzato. Resta comunque il fatto che, sul piano storiografico, il libro di Fornero è definitico per la completezza della documentazione messa in campo. Più che una specifica disciplina con una sua struttura teorica consolidata – come ad esempio è la chimica o anche il diritto – la bioetica è un insieme di saperi che riguardano l'ambito biomedico, e, attraverso una paziente e puntuale ricostruzione, Fornero mostra come al riguardo ci siano due modi di riflettere, opposti e antitetici: quello cattolico romano, che ripropone la sacralità della vita umana, e quello laico, che afferma invece la qualità della vita. La distinzione è profonda e porta a posizioni teoricamente inconciliabili, e merito di Fornero sta nel documentare quest'aspetto sia sul piano astratto e teorico sia su quello pratico e operativo.

La maggior parte del libro è dedicata a chiarire il primo aspetto. Dopo aver illustrato le varie facce della questione, Fornero sottolinea opportunamente sia che il cattolicesimo romano non esaurisce la gamma delle posizioni cristiane, sia che il filone di pensiero laico prevalente presentato non è una vera e propria scuola con una precisa ortodossia, ma piuttosto un nucleo dinamico. Ma il capitolo 9 del libro è dedicato all'analisi dell'eutanasia e del suicidio "come ‘cartine al tornasole' di opposte scelte paradigmatiche", che conferma l'inequivocabile contrasto tra l'etica (cattolica) della sacralità della vita e l'etica (laica) della qualità della vita. Attraverso l'analisi di testi ben scelti di Eugenio Lecaldano, Patrizia Borsellino, Hans Küng, del Catechismo della Chiesa cattolica e di altri, Fornero ha buon gioco nel mettere in luce l'inconciliabilità delle opposte prospettive. La scelta del caso è stata quindi opportuna e azzeccata, ma, in un senso, anche troppo ovvia.

Sarebbe stato davvero di grande interesse se Fornero avesse esaminato un caso diverso, e per il futuro mi permetto di suggerirgli di considerare la diffusione del nuovo atteggiamento circa il consenso informato che sta alla base di quella che ho chiamato la "rivoluzione silenziosa" intervenuta in Italia tra la fine degli anni Ottanta e la prima metà dei Novanta. Si tratta di un cambiamento che ha trasformato l'intero rapporto medico-paziente, tocca gli aspetti della vita quotidiana – non solo quegli eventi cruciali che sono unici (come la morte) o rari (come la riproduzione) – e talvolta è ritenuto essere terreno di convergenza tra laici e cattolici. L'auspicio è che Fornero dedichi le sue energie alla questione, perché se riuscisse a dimostrare che il conflitto è insanabile anche su questo punto, dimostrerebbe quanto l'etica laica della qualità della vita è scesa nel profondo e occupa ormai gli interstizi della vita sociale.

Augurandomi che Fornero sappia attuare con la perizia che ha mostrato di avere questo compito, poiché credo che l'etica laica sia molto più diffusa di quanto non appaia, e che sia sottodeterminata, il titolo dato al volume non risulta immediatamente chiaro. Come mai: Bioetica cattolica e bioetica laica, e non viceversa? La precedenza data alla posizione cattolica sembrerebbe conferirle quasi una sorta di priorità, aspetto come minimo problematico. Può darsi che ciò dipenda dal fatto che storicamente la bioetica cattolica è nata prima di quella laica, ma questo punto avrebbe meritato comunque almeno una parola di spiegazione.

Sempre come contributo costruttivo a un volume che si segnala per la ricchezza documentale unita a imparzialità teorica e chiarezza espositiva, un'ultima osservazione va fatta circa l'uso dell'aggettivo "cattolico romano". Nella nota 4 a p. 24, con precisione Fornero rileva che "questa espressione (rigorosa e puntuale), pur essendo poco usata in Italia, in compenso è assai diffusa a livello internazionale, soprattutto nei Paesi di lingua inglese, in cui la locuzione Roman Catholic (come ha osservato Mori) è ricorrente"; ed ancora a p. 72 (nota 31) si richiama "all'uso internazionale" per indicare chi si attiene "all'insegnamento ufficiale della Chiesa". Non ho una competenza specifica sulla questione, ma ricordo che in una conferenza di qualche anno fa il citato Maurizio Mori affermò che, oltre alla ragione citata da Fornero riguardante l'uso invalso internazionalmente, ce n'è anche un'altra di carattere più teorico: cattolico significa "universale", e ci sono anche altre chiese cristiane che pretendono di essere "cattoliche", ossia dichiarano di essere le autentiche interpreti della cattolicità ossia della "universalità". La cattolicità romana è quindi una particolare declinazione di tale pretesa o aspirazione, ed è per questo che l'uso internazionale lo precisa: omettere di farlo è concedere molto, troppo ai cattolici romani, quasi dando per scontato che la loro sia l'unica interpretazione autentica – e non una delle varie.