«Panorama»
27 ottobre 2005
Bioetica sulle barricate
Fra cattolici e laici è ancora scontro. Ma le idee in campo sono confuse, i contendenti dovrebbero fare un esame di coscienza. E un libro riapre i giochi: l'autore è l'erede di Abbagnano.
di Mauro Anselmo
Tira sempre una brutta aria di temporale sul cammino della bioetica. E nell'aspro confronto tra cattolici e laici i fulmini non lasciano intravedere il sereno. Se lo scontro sulla pillola del giorno dopo occupa le prime pagine dei quotidiani, se le ferite del referendum sulla fecondazione assistita sono ancora visibili nelle polemiche di palazzo, se termini come sacralità della vita, relativismo e Stato confessionale si intrecciano in modo spesso fuorviante al linguaggio mediatico, ecco che arriva in libreria un volume scritto per fare chiarezza e riportare lo scontro sulla bioetica ai suoi nodi essenziali. O meglio, ai princìpi primi sui quali si innesta il confronto (e lo scontro).
Su che cosa si fonda, al di là delle frasi fatte e dei luoghi comuni, la differenza tra la bioetica cattolica, quella ufficiale della Chiesa che influenza la politica e informa le pubblicazioni dei più seguiti studiosi, e la bioetica laica? Perché le posizioni sono così distanti e la discussione, anziché dare luogo all'incontro e al dialogo, finisce per erigere le barricate?
Bioetica cattolica e bioetica laica è il titolo del volume che affronta le domande e si impegna a dare le risposte. Va segnalato per almeno due motivi. Perché lo ha scritto l'erede di quel maestro di chiarezza filosofica che fu Nicola Abbagnano, Giovanni Fornero, professore, autore di Le filosofie del Novecento con Salvatore Tassinari, come pure della nuova versione del celebre Dizionario filosofico (Utet) e del più diffuso manuale per i licei (Paravia). E poi perché nel fare il punto, oggi, sulla bioetica «in un momento di confusione delle idee favorito dalla crisi e dalla latitanza di parte della cultura laica», Fornero applica alla sua esposizione il metodo di Abbagnano: lucidità cartesiana, rispetto rigoroso delle posizioni in campo. Discorso filosofico dunque, perché filosofica è la questione di fondo.
Che cosa si intende, di preciso, con le nozioni di uomo e di vita? Fino a che punto il significato e il valore attribuito a questi concetti condiziona e limita la ricerca scientifica? E quale ruolo deve svolgere lo Stato laico in materia di bioetica?
Da parecchi anni due concezioni si affrontano a muso duro. «Mi riesce difficile immaginare» scriveva il pioniere della disciplina, il laico Uberto Scarpelli, «differenze filosofiche, morali, umane più grandi di quelle che si rilevano dove sono in gioco, dietro al sì e al no, l'esistenza di Dio, la struttura della persona umana, i confini e il valore dell'umanità, le relazioni fra i fenomeni biologici e il senso della vita umana, la rilevanza etica della scienza…».
Sono queste le questioni decisive. Bioetica cattolica e bioetica laica altro non sono che due modi differenti di pensare l'uomo e il mondo. La prima, analizzata da Fornero nella posizione forte della Chiesa di Karol Wojtyla e di Papa Joseph Ratzinger (presente in tutta la pubblicistica cattolica più influente), concepisce la vita come dono del Dio creatore dell'uomo e di conseguenza la sottrae per principio alle scelte individuali e alla capacità umana di disporne a piacimento. La seconda, invece, mettendo da parte la nozione del progetto divino sull'uomo, fa propria l'esigenza di miglioramento della qualità della vita attraverso la ricerca scientifica e richiama l'attenzione su un problema cruciale: la laicità della politica che, nell'esigenza di conciliare le diverse tradizioni etiche, rifiuta di «imporre il bene per legge» e di fare dello Stato, come scriveva il liberale John Stuart Mill nel Saggio sulla libertà del lontano 1859, «una sorta di poliziotto etico».
Materia incandescente, dunque. Sulla quale, almeno per ora, sembra difficile immaginare un punto di incontro. Nonostante lo sforzo di Fornero di distinguere le due posizioni e di definire con chiarezza il significato del termine laicità, è facile immaginare che anche il suo libro sarà oggetto di polemica. Soprattutto da parte di quei cattolici legati alla dottrina della Chiesa che rifiutano una distinzione netta fra le due sfere. Sostenendo infatti che le loro scelte in materia di bioetica sono dettate dalla ragione più che dalla fede, essi respingono l'etichetta di «cattolica» affibbiata dai laici alla propria visione del mondo. «È un'obiezione che rispetto, naturalmente, ma che mi pare quantomeno discutibile» spiega Fornero. «Certo che i cattolici usano la ragione, ci mancherebbe altro. Ma c'è una differenza di fondo nel modo di ragionare di un credente e di un non credente. Un conto è pensare alla natura in chiave metafisica, come a un Tutto ordinato di valori e fini dal quale ricavare regole morali assolute, valide per tutti e per sempre. Un conto è rifiutare la nozione di una legge naturale sacra e inviolabile che funge da metro oggettivo di verità, per sostenere invece il diritto e la libertà degli uomini a decidere autonomamente il proprio destino».
Chi ha ragione? «La vita e la morte appartengono al Signore» dice il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano. «Lui solo ne può disporre e nessun altro: né il paziente, né i familiari, né il suo rappresentante legale, né il medico, né lo Stato».
Ma fino a che punto, si interroga l'ordinario di bioetica Demetrio Neri, «possiamo spingerci sulla strada dell'autonomia? La risposta è che dobbiamo spingerci fino a riprendere nelle nostre mani il comando su ciò che accade nel nostro corpo e nella nostra vita».
Categoriche sono le affermazioni dell'enciclica Evangelium vitae: «Nessuna circostanza, nessuna finalità, nessuna legge al mondo potrà mai rendere lecito un atto che è intrinsecamente illecito, perché contrario alla Legge di Dio scritta nel cuore di ogni uomo». Sferzanti, dall'altro punto di vista, le parole dello studioso inglese Edwin Joad: «Sembra strano che persone serie, intelligenti e ben intenzionate, per la gloria del loro Dio abbiano sottoposto uno stuolo di uomini e donne alle più abominevoli torture».
Parole forti, prese di posizione nette da entrambe le parti. Dalle quali tuttavia è inevitabile partire per avere un'idea delle sfide del futuro e del valore della posta in gioco. Perché, come diceva Abbagnano, «in un periodo in cui i concetti sono spesso confusi al punto da diventare inservibili, l'esigenza di una loro rigorosa precisazione acquista un'importanza vitale».