Filosofie del Novecento
Bruno Mondadori, Milano 2002, pp. XVII - 1590
Nell'ottobre 2002, al momento di licenziare l'opera, i due autori scrivevano nella Prefazione:
«Quest'opera nasce dallo sforzo di conciliare alcune caratteristiche che in ambito filosofico non vanno sempre d'accordo e che qui vengono assunte a ideali orientativi: il rigore espositivo, la ricchezza dell'informazione, l'accessibilità del dettato e il rispetto per le varie filosofie. Infatti, tramite un linguaggio lineare e sulla base di un'ampia documentazione, essa cerca di proporre un quadro preciso e aggiornato delle filosofie del XX secolo. Quadro che, senza rifarsi al vecchio modello "enciclopedico", anzi in sintonia con il nuovo criterio delle "rilevanze", si sforza di mettere in luce, con distacco critico, ma anche con simpatia umana e intellettuale, le figure e le correnti emblematiche del Novecento filosofico.
Fra i due modelli possibili di esposizione storico-filosofica, quello che procede per rilevanze internazionali e quello che si sviluppa per contesti nazionali (dotati entrambi di pregi e limiti), si è esplicitamente optato per il primo, senza tuttavia trascurare i contributi della filosofia italiana, anche di quella più recente.
Nell'ambito di queste direttive metodologiche e in omaggio al pluralismo che contraddistingue l'opera – lontana da ogni prospettiva di uniformazione coatta del molteplice – si è voluto salvaguardare l'autonomia e la creatività dei singoli collaboratori, scorgendo nella loro "diversità" di impostazione e di interessi non un inconveniente da rimuovere, ma un'opportunità da valorizzare, ovvero un connotato che ben si adatta alla polifonica varietà del filosofare novecentesco.
Questo lavoro ricostruttivo, che si rivolge allo specialista come al lettore comune, ruota intorno a una tesi storiografica di fondo, cioè all'idea secondo cui il pensiero filosofico del Novecento avrebbe attraversato un duplice e contraddittorio processo di autoconfutazione e autoriabilitazione. Processo che, in antitesi a ogni presunta "morte della filosofia", testimonia la verità di ciò che Garin ha descritto nei termini di un oggettivo «riproporsi dell'esigenza della filosofia» e Gilson ha sintetizzato con l'immagine del dialogo filosofico come forma di sapere che finisce sempre con l'«affossare i propri affossatori».
Tanto più che quelle stesse attività extrafilosofiche (scienza, politica, religione, arte) che sarebbero dovute succedere all'atipico sapere di Socrate hanno continuato, esse stesse, a suscitare urgenti interrogativi filosofici, confermando l'ipotesi, oggi largamente condivisa, secondo cui la filosofia, pur con tutti i suoi limiti (che sono i limiti stessi della ragione finita dell'uomo) costituisce un luogo obbligato del dibattito delle idee, un'attività a sfondo critico da cui, a certi livelli di problematizzazione, non si può prescindere. Soprattutto in una società "complessa" come la nostra, che ci costringe a riflettere continuamente sull'uso del sapere e su quelle grandi problematiche della vita singola e associata in cui ne va del destino stesso dell'uomo».