Il diritto di andarsene: fine vita, scelta di libertà

Intervista al filosofo Giovanni Fornero sul saggio Il diritto di andarsene
a cura di Paolo Campostrini («Alto Adige», 21 ottobre 2023)

"La vita è assolutamente un valore, ma la questione si pone quando cessa di esserlo: è allora che la decisione del singolo deve essere rispettata"

Intervista su Il diritto di
andarsene

«Sa qual è il problema? Che facciamo finta che il problema non ci sia». Parla della fine della vita Giovanni Fornero. E dunque della morte. Che è come parlare del futuro per chi immagina di esserci lontano e così osserva l'orizzonte e pensa in cuor suo che ve ne sia sempre uno ad aspettarlo, il giorno dopo. Ma il filosofo ne ha un altro di orizzonte davanti ed è quello del confine riguardo alla nostra libertà di andarla a cercare. Non si dovrebbe. Ma poi c'è il dolore. E la sua insopportabilità. È a questo punto che il confine diventa labile, senza sbarre o finanzieri a presidiarlo e si sposta continuamente fino al punto che ci si trova a invocare la fine come una liberazione. «Tutti noi, io per primo, consideriamo la vita un valore – aggiunge Fornero, allievo di Nicola Abbagnano, saggista, giurista, esperto di bioetica –, ma la questione si pone quando cessa di esserlo, un valore».

Quando il buio della sofferenza non ci fa vedere nulla al di là di una cannula che ci tiene dove non vogliamo più essere. È un sentiero con ostacoli apparentemente inestricabili quello che conduce intellettuali, politici, sacerdoti, medici, gente comune ad inerpicarsi nella selva di infinite domande e possibili risposte prima e dopo il confine tra vita e morte, ma che tocca, alla fine, un tema ineludibile che è quello della libertà personale. E che tocca una domanda che le tiene insieme tutte: la vita ci appartiene?

Schiere di teologi sono giunti alla conclusione che no, non è nostra, appartiene a Dio che ce l'ha concessa. I laici pongono invece sempre più dubbi su questa effettiva appartenenza. E scavano dentro le opportunità lasciateci dalla libertà che invochiamo per ogni questione umana.

Nietzsche scriveva: «Muori al momento giusto, così insegna Zarathustra». Kant va da un'altra parte: «Ciascuno è tenuto a conservare se stesso». Ma Seneca difendeva la possibilità di optare per la morte. Oggi stiamo dibattendo oltre questa trincea. Non più sul suicidio, e dunque solo su una personale decisione presa autonomamente e in solitaria, ma anche sul suicidio assistito e dunque sull'eutanasia. Che è il possibile diritto di chiedere ad altri, nell'impossibilità di farlo da soli, di porre fine alla propria vita nel momento in cui risulti insopportabile.

Giovanni Fornero, che ha scritto a questo proposito Il diritto di andarsene. Filosofia e diritto del fine vita tra presente e futuro (Utet editore) spiega dell'esistenza di un vero e proprio diritto all'autodeterminazione del soggetto: «Di fronte a determinate circostanze e sofferenze vissute e giudicate invivibili, considerate lesive della propria dignità, il soggetto può decidere di congedarsi volontariamente dalla propria vita, sia per mano propria sia con l'intervento di altri».

Ed è qui, dunque, che la ricerca di Fornero si innesta direttamente non solo nel dibattito etico-religioso, ma in particolare in quello politico e giuridico. Tant'è che la prefazione al volume è di Luca Coscioni, il radicale impegnato da decenni sul fronte dell'eutanasia regolata per legge.

Fornero, in sostanza, si pone sul piano della ineludibilità di un intervento in materia. Che fisse cornici giuridiche, mediche e personali alla questione togliendola dal campo delle diatribe personali o del singolo caso. Che poi sono ormai innumerevoli, anche solo guardando ai più noti, che sono balzati all'attenzione della pubblica opinione, da dj Fabo a Eluana Englaro, da Piergiorgio Welby a Federico Carboni. In questi casi sono stati gli attivisti a scuoterci dal torpore e a porre il problema. Che non vuol dire accettare l'eutanasia tout court oppure rifiutarla per chè la nostra coscienza ce lo vieta, ma risolvere un nodo di legge e di libertà, lasciando a chi vuole l'opzione di agire su se stesso, non su altri.

Professor Fornero, resta la grande obiezione, comunque, del mondo cattolico.

Anche su questo piano non tutto è rimasto come prima. Ci sono state precise aperture. Non sul piano della morale religiosa, ma sull'accettazione di una possibile etica laica.

Può fare qualche esempio

Monsignor Vincenzo Paglia, della Pontificia Accademia per la vita, ha parlato di possibilità di una mediazione giuridica. Il gesuita Carlo Casalone, in un articolo sulla «Civiltà Cattolica», a proposito del referendum sul suicidio assistito, ha distinto tra posizioni della dottrina e legislazione di uno Stato non confessionale.

Bastano per aprire un vero dialogo?

Mi auguro di sì. Ma poi c'è Hans Küng, il filosofo e teologo tedesco, che dice una cosa abbastanza comprensibile: se Dio ci ha creati liberi e ci ha posti in grado di assumerci le nostre responsabilità in vita, perchè anche nel fine vita non possiamo essere altrettanto liberi e assumerci le nostre responsabilità verso noi stessi?

Ma poi c'è la situazione concreta. E allora?

Allora il fine vita riguarda tutti. Certo, facciamo sempre finta che il problema non esista. Ma è il futuro di ognuno di noi, anche dei più giovani.

Perché porselo il problema di come andarsene?

Chiunque può trovarsi in una situazione di grande sofferenza. Che dura da anni e non si vede la fine. Ed è allora che può salire il desiderio di andarsene. Come si dice? «Lasciatemi andare…». Ecco, questo scenario non può essere eluso con una alzata di spalle.

E invece accade. Come mai?

Per quanto riguarda i laici, cioè il piano politico, è semplice: non è un tema che porta voti.

È urticante, come si dice?

Assai. Ed è meglio starci alla larga alle elezioni. Poi c'è l'influenza religiosa, sempre molto presente. Del tipo: la vita appartiene a Dio e dunque è indisponibile.

Una posizione degna di rispetto, no?

Certamente. Ma è come per il divorzio: se consideri l'unione davanti all'altare sacra, bene, nessuno ti impone nulla. Ma non posso pretendere che il mio vicino sia legato alla stessa concezione del matrimonio che ho io. E dunque lo lascio libero di scegliere di divorziare o meno.

È una questione di libertà?

Assolutamente. Se la si rivendica ovunque, non la si può bloccare davanti alla vita e alla sua fine: se è invivibile non è più vita. E questo può pensarlo ed eventualmente deciderlo solo chi sta in mezzo a questo passaggio, nessun altro.

Nessuno potrà mai impedire a qualcuno di porre fine alla sua vita, qui invece la questione riguarda un possibile aiuto, inteso a "lasciarci andare"…

È il punto. Se una persona è consapevole, dunque può decidere in libertà sul senso della sua vita in determinate condizioni di grande sofferenza e insopportabilità del vivere, deve essere lasciata libera di poter decidere in merito.

È un terreno scivoloso.

È un terreno che può riguardare tutti noi. Così io chiedo non di togliere valore alla vita, ma di offrire opzioni di libertà a chi non la considera più un valore. Serve una legge. Che non lasci tutto alla interpretazione di una sentenza della Consulta, che pur ha aperto la strada, ma che regoli la materia. È questo che invocano le associazioni, proprio perchè non diventi una battaglia personale che lasci solo l'essere umano che vi è coinvolto.