«Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân»
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18 ottobre 2008

Una scuola etsi Deus non daretur?

di Stefano Fontana

La scuola italiana si trova in una situazione di smarrimento dovuta sì ai moltissimi problemi organizzativi, ma soprattutto alla mancanza di un progetto culturale. La scuola italiana non sa più perché educare e quale uomo essa intenda educare. I primi provvedimenti assunti dal Ministro Gelmini non sono ancora tali da manifestare un progetto culturale in controtendenza rispetto a questo smarrimento. Si tratta per lo più di interventi di razionalizzazione, opportuni e necessari, ma non decisivi né organici. Non si può ancora dire, in altre parole, se il Governo ha deciso o meno di incidere sui veri nodi culturali che bloccano la scuola italiana.

Senza dubbio, prima o dopo, se si vorrà por mano ad una vera riforma della scuola e non ad una sua semplice razionalizzazione, bisognerà affrontare il tema del sapere, e dei "saperi" che la scuola tramanda. L'educazione, infatti, nella scuola passa soprattutto attraverso la trasmissione del sapere. Anche per l'educazione alla libertà è così. Oggi nella scuola italiana si insegna di tutto e in modo dispersivo. Un quadro epistemologico coerente non c'è. Non c'è una unità del sapere, ossia un criterio per collocare le discipline al loro posto dentro una visione d'insieme. Il Ministro segnala che in Italia esistono oggi 5.500 diversi Corsi di laurea, segno di una dispersione epistemologica, prima che organizzativa.

In questa futura, auspicabile, revisione del sapere e dei "saperi" che la scuola tramanda, una questione mi sembra di particolare interesse: c'è un posto per Dio nella scuola italiana? Tra le prospettive teoriche e culturali assunte ci saranno anche le discipline che parlano del trascendente e di Dio, oppure no? La nostra scuola è (sarà) una scuola "Etsi Deus non daretur"? Qui ci si riferisce alla dimensione epistemologica della questione della "laicità" della scuola: se Dio è espulso dai saperi, il sapere può ugualmente costituirsi in modo scientifico? Attualmente, nella scuola pubblica italiana Dio è ampiamente assente. Non viene considerato un problema relativo al sapere. Benedetto XVI però ha detto ad Aparecida che «chi esclude Dio dal suo orizzonte, falsifica il concetto di realtà … solo chi conosce Dio conosce la realtà». La frase ha un chiaro valore epistemologico. Il sapere non può essere amputato della dimensione trascendente, la fede è un conoscere e, quindi, la scuola dovrebbe accogliere almeno l'invito minimo ad operare "etsi Deus daretur".

Come si sa, questo invito fu lanciato dal cardinale Ratzinger ai laici nel famoso discorso di Subiaco dell'aprile 2005. Esso vale anche per la scuola e vale anche per il sapere che la scuola deve tramandare. Oggi, però, c'è una versione di laicità del sapere che, dal punto di vista epistemologico, lascia perplessi. Giovanni Fornero (Laicità debole e laicità forte, Bruno Mondadori, Milano 2008) per esempio distingue tra una laicità debole e una forte. Quella debole consiste nella accettazione della autonomia dei saperi ed ha un valore procedurale. La verità della matematica deve essere tale sia per il credente che per il non credente. Ciò permette la criticità e la tolleranza: una cosa può essere accettata come vera da un credente anche se detta da un non credente. La laicità forte significa invece prescindere da Dio: a-religiosità. Applicando questa distinzione alla scuola si comprende che essa, in quanto laica, dovrebbe assumere una laicità epistemologica debole e indifferente rispetto agli assoluti forti, siano essi quelli laici o quelli religiosi. Non dovrebbe combatterli, perché allora assumerebbe a sua volta una posizione ideologica forte, ma dovrebbe offrire gli strumenti per vagliarli secondo la metodologia scientifica di una laicità debole.

Questa tesi presenta indubbi passi avanti rispetto al fondamentalismo laicista, ma non persuade del tutto. Ci si chiede, infatti, se una metodologia della neutralità sia possibile. La frase di Benedetto XVI vista sopra sembrerebbe sostenere di no. Il metodo è veramente indipendente dai contenuti? Posso veramente dare la giusta importanza alla trascendenza, senza pronunciarmi sulla esistenza o meno della trascendenza? Se ci si ferma ad un agnosticismo contenutistico, essendo che la laicità debole deve essere solo procedurale, si può veramente dare spazio a tutti i linguaggi scientifici e a tutte le procedure? È vero che una laicità procedurale è uno strumento neutro ed autonomo a disposizione di credenti e non credenti, ma senza la sua fede cattolica San Tommaso avrebbe riformato la metafisica aristotelica? Di fatto, già escludendo metodologicamente l'assoluto trascendente, la laicità metodologica di tipo debole, si presenta come forte. Ciò da cui si prescinde metodologicamente è già pregiudizialmente estromesso dal sapere. Né vi potrà mai più rientrare. La laicità metodologica debole è indifferente alle posizioni forti. Ciò significa che non ha strumenti conoscitivi per valutarle. Come potrà, allora, ricondurle all'interno di un confronto razionale e critico?

Da queste osservazioni mi sembra che emerga la laicità come problema epistemologico. Una scuola che intenda veramente fare chiarezza sui saperi che tramanda non potrà esimersi dall'affrontare questi problemi. Ma, chissà se i politici si pongono queste domande.