«Questioni di bioetica» 1(2006)
(«Associazione Thomas International»)

Recensione a Giovanni Fornero, Bioetica cattolica e bioetica laica

di Luciano Sesta

Nessuno, in Italia, aveva ancora tentato di ricostruire il dibattito bioetico, in modo puntuale e concettualmente articolato, alla luce della grande distinzione tra prospettiva cattolica e prospettiva laica. Lo ha fatto Giovanni Fornero con il suo Bioetica cattolica e bioetica laica, Bruno Mondadori, 2005. Il testo offre una diligente ricognizione storica di alcune delle più influenti teorie della bioetica contemporanea, leggendo queste teorie alla luce dell'idea, da alcuni decisamente contestata, secondo cui la distinzione tra "bioetica cattolica" e "bioetica laica" sia "quanto mai valida e attuale" (p. X) e non possa ridursi a una mera contrapposizione ideologica priva di significato teoretico.

Storicamente, in Italia una contrapposizione formale tra bioetica laica e bioetica cattolica nasce con la pubblicazione, nel giugno del 1996, del "Manifesto di bioetica laica". Da allora gli studiosi cattolici impegnati in bioetica non hanno mai smesso di respingere la qualifica di "bioetica cattolica" utilizzata per designare la loro prospettiva. La tesi di questi studiosi, infatti, è che la formula "bioetica cattolica" è spesso utilizzata a scopo riduttivo e polemico, laddove la bioetica sarebbe sempre laica, se per laica si intende una bioetica che non ricorre direttamente alla rivelazione per fondare la plausibilità delle sue tesi. Secondo Fornero, invece, pur nel variegato quadro della bioetica contemporanea, "si possono individuare due grandi modelli teorici": uno di matrice "religiosa" e l'altro di matrice "laica" (p. 15). Il primo sarebbe rappresentato principalmente (anche se non esclusivamente) dalla bioetica cattolica della sacralità della vita, il secondo dalla bioetica laica della qualità della vita. Non si tratta, come Fornero tiene a precisare, di una banale contrapposizione tra fede e ragione (p. 131) ma di una dicotomia filosofica tra concezione della sacralità della vita (analizzata nel cap. III) e concezione della qualità della vita (analizzata nel cap. IV), che poi, per esprimere in modo più articolato e rispettoso della pluralità delle posizioni in campo (analizzate nei cap. VII e VIII), Fornero inserisce come dicotomia specifica della più generale dicotomia tra etica dell'indisponibilità della vita ed etica della disponibilità della vita (cap. IX).

Mentre la bioetica cattolica è facilmente identificabile con la bioetica degli studiosi che si trovano in sintonia con il magistero della Chiesa Cattolica, per la bioetica laica il discorso è più complesso. Fornero propone una distinzione tra senso forte e senso debole dell'aggettivo "laico". In senso debole la laicità indica un atteggiamento critico e antidogmatico, ispirato ai valori del pluralismo e della tolleranza reciproca. Da questo punto di vista la laicità non si identifica con una particolare filosofia o teoria, ma con un metodo aperto al dialogo e al confronto tra diverse filosofie e teorie. In un senso forte, invece, la laicità indica la dottrina di coloro che non si limitano a una generica adesione ai valori dello spirito critico e della tolleranza, ma ragionano etsi Deus non daretur, come se Dio non ci fosse. Laico, in bioetica, è insomma chi non fa "un uso strategico-normativo dell'idea di Dio, né in senso teologico-confessionale, né in senso metafisico razionale" (p. 71), non tenendo conto, nelle sue argomentazioni, "né della possibile esistenza e "volontà' di Dio, né di un eventuale "progetto divino sulla vita" (comunque accessibile: sia tramite la parola rivelata sia in virtù della ragione filosofica" (p. 72). Questo non significa, precisa Fornero, che la laicità in senso forte equivalga all'ateismo o all'agnosticismo, dal momento che essa può essere praticata anche da quei credenti, come dimostra il caso di Hugo T. Engelhardt, che ritenendo filosoficamente indimostrabile l'esistenza di Dio propendono "per la sua programmatica estromissione dai discorsi etici e bioetici" (ibidem).

Da qui una più precisa definizione del cattolico in bioetica, il quale, a differenza del laico, "facendo un uso strategico-normativo dell'idea di Dio (inteso come sorgente dell'essere, legge eterna del mondo e norma ultima del bene), postula una metafisica razionale in grado di cogliere il disegno divino delle cose e di fungere da piattaforma universale del discorso bioetico" (p. 73). Secondo Fornero a monte di parecchi fraintendimenti nell'attuale dibattito bioetico vi è il rifiuto di prendere atto che questa differenza di fondo tra impostazione laica e impostazione cattolica esiste, e che i presupposti teorici di questa differenza, una volta esplicitati, rendono problematico, se non impossibile, ogni tentativo di mediazione. La conclusione alla quale giunge l'Autore è che tutti coloro che minimizzano l'esistenza di una contrapposizione tra bioetica cattolica e bioetica laica sono "vittime di una sorta di equivoco teorico e storiografico provocato dalla loro (inconsapevole) tendenza a confondere i propri desideri (soggettivi) di mediazione con la realtà (oggettiva) dello scontro in atto" (p. 200).

Il merito principale del saggio di Fornero, in un contesto che tende a vedere nella mediazione dialogica una sorta di panacea, consiste probabilmente in questo franco e realistico riconoscimento delle inconciliabilità tipiche dei dibatti etici: "quando si approfondiscono i problemi, a un certo punto le mediazioni (e i compromessi) non sono più possibili e si impone una scelta (di campo)" (p. 137). Questo non comporta, secondo Fornero, che in mancanza di ogni possibile mediazione si debba rinunciare al dialogo. E infatti, proprio nella misura in cui sono strutturalmente inconciliabili, bioetica cattolica e bioetica laica "non possono fare a meno di coesistere e di dialogare" (p. 203), nel quadro di quella che Fornero auspica come "una bioetica planetaria strutturata nei termini di un postmoderno laboratorio del dialogo e del pluralismo" (p. 204).

Ci si potrebbe tuttavia domandare se questo accenno finale al dialogo e al pluralismo, inteso come valore e non come semplice fatto, non finisca per vanificare non solo la tesi dell'inconciliabilità tra bioetica cattolica e bioetica laica ma anche l'affermazione "laica", che Fornero non fa mistero di condividere, secondo cui in bioetica non può mai esistere una soluzione universalmente valida. In effetti, la "bioetica planetaria" di Fornero finisce per far prevalere la tesi laica del pluralismo (come valore) sulla tesi cattolica del giusnaturalismo, identificando la bioetica con una particolare visione morale, quella liberale e pluralista, a spese di tutte le visioni morali alternative. Insistendo sul dialogo, inoltre, si rischia di dimenticare che in etica, e dunque anche in bioetica, l'oggetto del discorso è la prassi umana, il cui presupposto è la libertà. E quando due libertà scelgono diversamente non c"è principio dialogico che tenga. Non rimane altro, dunque, che riconoscere il pluralismo di fatto (ovvero l'esistenza della libertà umana) senza rinunciare tuttavia a domandarsi non tanto se le varie scelte siano cattoliche o laiche, ma se siano moralmente giuste. Senza rinunciare, dunque, a fare bioetica tout court, ovvero a esercitare una riflessione razionale capace di fondare adeguatamente i nostri giudizi morali. Nell'esercizio di questa riflessione razionale la distinzione tra cattolici e laici è senz"altro innegabile, ma, a nostro modo di vedere, non è decisiva come sembra ritenere Fornero.