Perché continuare a negare l'evidenza?

Nel n. 3 (2009) di «Bioetica. Rivista interdisciplinare» Fornero ha aperto un dibattito dal titolo Perché continuare a negare l'evidenza? Qui riportiamo il primo paragrafo dell'intervento.

I "don Ferrante della bioetica" e l'importanza del caso Eluana

Nel Poscritto 2009 della nuova edizione ampliata di Bioetica cattolica e bioetica laica esordisco dicendo che «per scrivere questo libro … ci voleva una certa dose di anticonformismo, ossia il coraggio intellettuale di opporsi a taluni radicati "luoghi comuni". A cominciare dalla tesi […] della inesistenza di una reale distinzione teorica e storiografica fra bioetica cattolica e bioetica laica».

Tesi che nel passato ha trovato numerosi (e autorevoli) difensori, soprattutto fra gli studiosi di matrice cattolica. Emblematico, a questo proposito, è il giudizio formulato da Elio Sgreccia nel suo Manuale, secondo cui la distinzione-contrapposizione fra bioetica cattolica e laica sarebbe «fittizia e fuorviante». Significativa è anche l'opinione di alcuni personalisti "kantiani". Infatti, polemizzando, tra gli altri, con Maurizio Mori – che è stato, come è noto, uno dei primi studiosi italiani a mettere a fuoco l'irriducibile diversità paradigmatica delle due bioetiche – tali autori hanno sostenuto per anni che «l'opposizione solitamente istituita tra bioetica "laica" e bioetica "cattolica" […] non ha ragioni pertinenti per sostenersi, più esattamente non è in grado di riprodurre l'effettivo movimento teorico che anima la bioetica».

La cosa più sorprendente, che motiva questo mio nuovo intervento su «Bioetica. Rivista interdisciplinare», è che tesi similari, nonostante tutto quel che nel frattempo è successo, continuano ad essere ripetute, a vario titolo, anche oggigiorno. Ad esempio, Vittorio Possenti, in un intervento sul quotidiano «Europa», ha definito «fasulla» tale distinzione. Analogamente, Massimo Reichlin, in polemica diretta con il sottoscritto, sostiene che tale distinzione teorica, se da un lato è «banalmente vera», dall'altro è «palesemente falsa», poiché «restituisce in maniera molto limitata il senso del dibattito in bioetica, quanto meno ne restituisce in maniera plausibile solo gli aspetti meno interessanti». A sua volta, Francesco D'Agostino è solito ripetere, nei convegni e su «Avvenire», che la presunta dicotomia fra le due bioetiche è «priva di senso».

Come si può notare, siamo al culmine della divaricazione fra realtà e discorso teorico. Infatti, mentre nella realtà "effettuale" delle cose tale distinzione-contrapposizione non solo esiste, ma condiziona in profondità il dibattito bioetico italiano (e, per certi aspetti, quello internazionale) esistono studiosi che, confondendo i propri desideri (soggettivi) con la realtà (oggettiva), stentano a prendere atto dell'odierno bipolarismo bioetico. Studiosi che nei nostri lavori – rifacendoci a quel noto personaggio manzoniano che con una serie di ragionamenti capziosi (o di deduzioni fallaci) cercava di negare la consistenza ontologica della peste – abbiamo assimilato ad altrettanti "don Ferrante della bioetica".

Questo rifiuto di prendere atto dell'esistente e di adeguare a esso le proprie categorie teoriche è ancora più grave – e inaccettabile – dopo il caso Eluana, cioè dopo una vicenda che ha rappresentato non solo la punta dell'iceberg – e l'esito estremo – dello scontro in atto fra cattolici e laici, ma anche il momento in cui il dibattito bioetico è definitivamente entrato a far parte, almeno nel nostro paese, della coscienza comune…